Eroi che trionfano su handicap fisici sono diventati un ingrediente essenziale dei film, della tv, dei bestseller autobiografici giapponesi, che di solito predicano incoraggiamento e spingono alle lacrime in modo così prevedibile come lo sciabordare delle onde a Kamakura.
Josee, The Tiger and The Fish è diverso. Sì, l’eroina con un handicap è coraggiosa; sì, trova una dose di felicità e amore; ma la sua storia non costringe il pubblico a tirare fuori i fazzoletti - obiettivo universale di questo genere di film. Gioca invece con le sue stesse convenzioni, con humour e stile insoliti.
Sebbene Inudo Isshin sia del 1960 e abbia iniziato a fare film 30 anni fa, Josee ha un’impronta giovanile. Inoltre - anche se l’approccio di Inudo riflette i lunghi anni passati a realizzare spot televisivi (soprattutto nelle riprese di cibi deliziosi) - il regista non ha realizzato un ennesimo tele-dramma per il grande schermo rivolto a un pubblico più vasto possibile.
Il finale, ad esempio, sembra contraddire tutto ciò che è accaduto prima: una trasgressione alle regole dei drammi televisivi. Ma gli spettatori più giovani, meglio informati sui modi di fare dei loro coetanei, possono trovarlo più convincente. All’inizio sono rimasto sconcertato, ma più tardi ho capito che dovevo vederlo nel suo evolversi. È stato un momento da Sesto senso - che mi ha fatto apprezzare l’ingegnosità della sceneggiatura di Watanabe Aya.
Una mattina Tsuneo (Tsumabuchi Satoshi), un universitario dal viso fresco, incontra una vecchia signora che spinge per il quartiere un’enorme carrozzina. Dentro, scopre, c’è una ragazza (Ikewaki Chizuru), che non è affatto contenta di essere vista. La nonna lo invita a casa, dove la nipote Kimiko, la passeggera della carrozzina, gli prepara controvoglia un’omelette. Lui trova il cibo delizioso e la cuoca affascinante, nonostante il suo perenne cipiglio e la penosa abitudine di lasciarsi cadere dallo sgabello sul pavimento. Colpita da una paralisi cerebrale da bambina e incapace di camminare, Kimiko vive sotto le cure della nonna, divorando libri in gran quantità e accumulando una serie di conoscenze. Ammiratrice di Françoise Sagan, ha preso il nome di Josee da un personaggio della scrittrice.
Quando Tsuneo e Josee diventano amici e poi amanti, il ristretto universo della ragazza inizia ad ampliarsi. Tsuneo la porta allo zoo a vedere le tigri e in un hotel dove pesci in ologramma nuotano sulle pareti. La felicità di Josee sembra completa, ma poi…
Ikewaki Chizuru tratteggia Josee come una sopravvissuta dura e diffidente, che si è costruita un mondo tutto suo e non è sicura di volervi lasciar entrare qualcuno. Una figura spinosa e originale. È facile capire perché Tsuneo continui a tornare da lei e perché gli appassionati abbiano riempito le sale. Josee, The Tiger and the Fish è memorabile quanto il suo titolo, benché, in qualche modo, altrettanto enigmatico. Dove ha trovato la nonna quella carrozzina gigantesca? E dov’è quell’hotel dove gli ospiti dormono con i pesci?
Mark Schilling