Peppermint Candy inizia con il buio totale e un puntino luminoso che cresce, e presto si rivela essere un tunnel attraversato da un treno. Questa è solo l’introduzione di una tecnica che ricorrerà a intervalli nel film: l’uso del punto di vista del treno per articolare il passaggio del tempo e per dividere il film in sei sezioni e mezza, in ordine cronologico inverso. Ma, più importante ancora, suggerisce due temi principali del film: la morte e la speranza - o la redenzione.
Lo spettatore incontra per la prima volta lo svitato Kim Young-ho (Sol Kyung-koo) che urla "Voglio tornare indietro", mentre sta ritto davanti a un treno in accelerazione. Come ad esaudire il suo desiderio, il film ci riporta indietro, mostrando vent’anni della sua vita passata. Dall’uomo disperato al capezzale del suo primo amore in coma, Soonim (Moon So-ri), al poliziotto che interroga brutalmente i dissidenti politici attivi nelle lotte degli anni Ottanta, fino al giovane timido che sogna la sua Soonim - il suo ultimo legame con "l’innocenza" - e poi spara per sbaglio a una ragazza, durante un richiamo alle armi d’emergenza che richiama il colpo di stato da cui nacque la dittatura militare: il pubblico diviene testimone della travagliata storia politica della Corea attraverso le vicissitudini, o piuttosto il cammino verso la redenzione, di Kim Young-ho.
Peppermint Candy è un dramma schietto, confezionato con modestia, e tuttavia molto ben riuscito, in termini di ottima recitazione, stile di regia e struttura della trama. La fotografia e la colonna sonora sono controllate alla perfezione, perché non si sovrappongono ai personaggi e al racconto bensì sottolineano con moderazione lo scorrere della trama e le emozioni e sensazioni dei personaggi.