Basato su un manga di Saigan Ryohei apparso per la prima volta nel 1973 e tuttora pubblicato in Weekly Big Comic Original, il film di Yamazaki Takashi Always - Sunset on Third Street (Always - Sanchome no Yuhi) è, soprattutto e innanzitutto, una meticolosa ricostruzione del centro di Tokyo nel 1958 circa.
Non si tratta del solito set cinematografico ricostruito in studio, con l’occasionale macchina dell’epoca che ogni tanto passa rombando, ma di un ambiente urbano totale, riprodotto diligentemente fino all’ultima insegna arrugginita di negozio e all’ultimo manga consunto. In una scena sbalorditiva l’inquadratura, che si direbbe ripresa in gru, comprende una strada trafficata in tutta la sua lunghezza, piena di macchine dell’epoca, tram, negozi, gente, con un personaggio che ne insegue un altro. Il film è un composto di decorazione minuziosa del set, effetti di computer graphics all’avanguardia e spezzoni dell’epoca accuratamente restaurati, girato apparentemente con un procedimento di colore degli anni Cinquanta come il Tohoscope (una versione giapponese dell’Eastmancolor), con la sua luminosità soffusa, pulita, nostalgica.
Yamazaki e la sua troupe ci trasportano in un Giappone in cui gli abitanti della città vivevano ancora in veri quartieri, la televisione era l’ultima meraviglia tecnologica e l’economia stava per spiccare il volo verso il cielo, proprio come la stessa Tokyo Tower.
Il quartiere in cui è ambientato il film è a due passi dalla Tokyo Tower - il che significa che oggi è una zona residenziale estremamente costosa - ma i suoi abitanti sono perlopiù bravi operai, come Suzuki Norifumi (Tsutsumi Shinichi), che gestisce una piccola officina di riparazioni, e la moglie Tomoe, minuta e vivace (Yakushimaru Hiroko), che ha il suo bel daffare con il loro figlio turbolento, Ippei. A questa bella famigliola si aggiunge Mutsuko (Horikita Maki), soprannominata “Roku”, una ragazza di campagna acqua e sapone arrivata da Aomori nella grande città aspettandosi di lavorare in una grande azienda dal nome “Suzuki Auto”, e che nasconde a malapena il suo disappunto quando scopre che si tratta di un garage dal nome roboante.
Dall’altra parte della strada c’è il decrepito negozio di dolciumi gestito da un amico d’infanzia di Norifumi, Chagawa Ryunosuke (Yoshioka Hidetaka), un trasandato romanziere mancato, ridottosi a scrivere storie per le riviste per ragazzi. Ryunosuke frequenta un piccolo bar gestito dalla bella e navigata Hiromi (Koyuki), della quale è innamorato perdutamente ma senza speranze.
All’inizio del film Hiromi, per colpa di un cosiddetto amico, si ritrova incastrata con un monellaccio, Junnosuke, i cui genitori sono scomparsi, e lo sbologna a Ryunosuke, che si lamenta dell’imposizione (“Sei solo un estraneo per me”, dice al ragazzo a ogni occasione).
Non ci sono segreti nella Terza Strada - e nemmeno stranieri. Persino Ryunosuke, che oggi probabilmente resterebbe chiuso in una stanza con il suo computer, ha il suo posto nello stato delle cose del quartiere, come pure Junnosuke e Ippei, che oggi farebbero la spola tra i corsi del doposcuola e le loro console di videogiochi, e come Roku, le cui equivalenti ai giorni nostri sarebbero donne del Terzo Mondo che si arrabattano per vivere nell’economia sommersa.
Non è tutto rose e fiori, però. Raccontando di essere stata cacciata dalla famiglia, Roku rifiuta in lacrime la proposta di Suzuki di tornare a casa per Capodanno. Nel frattempo, l’amore di Ryunosuke per Hiromi resta dolorosamente inappagato, mentre il legame tra Junnosuke e Ryunosuke - che si rafforza quando il ragazzo scopre che il suo tutore è anche un famoso scrittore (per lui) - viene minacciato da una fonte inattesa.
Questi e altri meccanismi della trama sono comuni in molti melodrammi, ma si intrecciano abbastanza facilmente, anche se in modo appariscente. Le interpretazioni dei ragazzi sono piacevolmente naturali, mentre Koyuki, la donna amata da Tom Cruise ne L’ultimo samurai, eccelle nel ruolo della ex barista Hiromi, la cui scrollata di spalle stanca e il cui sorriso malizioso e sensuale avrebbero reso orgogliosa Marlene Dietrich.
Il mondo del suo film è un campo dorato di sogni, un bel posto da visitare, sebbene non ci si possa tornare - se non entrando nell’hard disk del computer di massima potenza di Yamazaki.
Mark Schilling