Bloody Tie

Malgrado un ammorbidimento degli standard della censura a partire dalla fine degli anni Novanta, che ha aiutato cineasti coreani come Jang Sun-woo (Lies) e Park Jin-pyo (Too Young To Die) a spingersi oltre in termini di esplicitazione sessuale sullo schermo, per anni il cinema coreano si è tenuto alla larga da alcuni argomenti “tabù”. Tra questi, le esperienze negative delle matricole militari (naturalmente, non esistono cose come gli abusi sessuali tra uomini nell’esercito coreano) e l’ampia diffusione della droga (solo gli americani si drogano, naturalmente). Due film coreani recenti, però, hanno affrontato proprio questi due argomenti: The Unforgiven si concentra sui militari, e Bloody Tie affronta tematiche collegate alla droga.

La droga d’elezione per i tossicodipendenti coreani è il Philophon (detta hiroppong o ppong nel gergo della strada), fondamentalmente una versione giapponese dei cristalli di anfetamina, o solidi di metanfetamina. La metanfetamina è stata usata da diversi governi (giapponese, nazista, americano) durante la seconda guerra mondiale per incrementare la produzione e tenere svegli i soldati: oggi è riconosciuta fra le sostanze che danno dipendenza più diffuse e socialmente distruttive al mondo.

Bloody Tie inizia con un vero servizio di cronaca, che racconta della crescita esplosiva dell’utilizzo di metanfetamina nella zona di Pusan dopo la crisi del FMI del 1997. Il film introduce quindi i due protagonisti: Sang-do (Ryoo Seung-beom di Crying Fist), un arrogante spacciatore da quattro soldi che conosce bene la vita di strada, e che ha una tragica vicenda familiare riguardante lo zio oppiomane (l’attore veterano Kim Hee-ra), e il tenente Do (Hwang Jeong-min, You Are My Sunshine), un poliziotto corrotto ossessionato dalla cattura del suo acerrimo nemico Jang Cheol, un pezzo grosso del crimine che si nasconde in Cina. Sang-do e il Tenente si odiano con virulenza, ma hanno costruito un complesso rapporto simbiotico nel corso degli anni, come il coccodrillo e il piviere egiziano.

Bloody Tie ha un titolo coreano composto da quattro caratteri cinesi, “Una decisione di vita o di morte”, che allude ai film di azione urbana di Hong Kong degli anni Ottanta. In sostanza, comunque, il film è sfrondato del romanticismo alla hongkonghese e delle immagini al rallentatore. Al contrario, è veloce, volgare e cattivo. Al centro di questo spietato noir ci sono due dei migliori attori della scena cinematografica coreana odierna, Hwang Jeong-min e Ryoo Seung-beom. Hwang è brillante come sempre. Il suo caratteristico sbuffo da macchina a vapore (“Sssshiii...”) non è più curiosamente irresistibile com’era in A Bittersweet Life, ma viene fuori come il suono emesso da una vipera che sputa veleno sulla preda prima di inghiottirla intera.

Sfortunatamente, dal mio punto di vista, il personaggio interpretato da Hwang resta il punto debole di Bloody Tie. Se il regista Choi, come suggeriscono i materiali promozionali, con questo personaggio intendeva ricordare i sociopatici ultra-spaventosi di Graveyard Of Honor e di altri film yakuza di Fukasaku Kinji, va detto che non c’è riuscito. Per metterla in un altro modo, il Tenente Do è un bastardo malvagio nel quale non ho intravisto neanche un briciolo di “ambiguità morale” o “complessità di carattere”.

Ma il film è interamente nelle mani del Sang-do di Ryoo Seung-beom. Si fa presto a esaurire i superlativi per elogiare Ryoo, senza dubbio l’attore coreano dal talento più naturale della sua generazione. Facendo seguito alla fenomenale prova di Crying Fist, Ryoo - senza mai ricorrere a manierismi leziosi o esagerazioni teatrali - ci porta a fare il tifo per Sang-do, un piccolo malvivente pusillanime, un pallone gonfiato, che è abbastanza sveglio da stare un passo avanti ai suoi competitori ma non abbastanza furbo da vedere che, nel Grande Ingranaggio, lui è solo un criceto che corre nella ruota.

Bloody Tie è un noir cupo, feroce e sorprendentemente intenso, che conserva la sua integrità malgrado la resa totalmente innecessaria (e, anzi, addirittura dannosa) del regista alla tradizione del cinema hongkonghese degli anni Ottanta. Non aspettatevi un film bello e levigato: questo piccolo sa già mordere.

Kyu Hyun Kim
FEFF: 2007
Regia: Choi Ho
Anno: 2007
Durata: 115'
Stato: South Korea

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