Già dal titolo stesso, Hula Girls dà l’impressione di essere uno dei tanti film giapponesi incentrati su protagonisti perdenti che si mettono a praticare uno sport minore o una qualche attività artistica (sumo, lotta, ballo liscio, canottaggio, nuoto sincronizzato, jazz…) e che così scoprono la loro strada. Questi film solitamente si concludono con un finale in grande stile in cui i protagonisti esibiscono le loro abilità faticosamente conquistate e ci mostrano che, ad esempio, il valzer - indovinate un po’ - è una gran figata!
Malgrado segua questa formula, l’ultimo film del regista Lee Sang-il un po’ se ne allontana prendendo spunto anche da Full Monty e dal classico di Urayama Kiriro del 1962, Foundry Town (Kyupora no Aru Machi), in cui una coraggiosa ragazza lotta per emergere nella difficile realtà di una cittadina industriale.
Vale a dire che Lee e il suo co-sceneggiatore Habara Daisuke mescolano il melodramma in senso stretto con la critica sociale in un mix di spettacolo popolare che è come una spumeggiante bibita all’ananas per femminucce, corretta da un bel goccio di shochu, il tipico liquore tradizionale giapponese che fa lacrimare gli occhi. Si tratta di un mix che non va sempre giù facilmente, ma il finale è un’esplosione del dinamismo sessuale e dell’esuberanza della danza hula (alla giapponese, certo, ma non la versione edulcorata per i turisti).
Tratto da una storia vera, il film è ambientato nel posto più lontano da Waikiki che si possa immaginare: Joban, una tetra cittadina mineraria che, nel 1965, subisce un rapido declino che gli anziani del luogo cercano disperatamente di arrestare. Uno di loro, l’agitato e maldestro ma determinato Yoshimoto (Ittoku Kishibe), ha l’idea di aprire un Centro Hawaiano da sfruttare come attrazione turistica, con le ragazze locali che danzano l’hula. Per questo ingaggia una certa Hirayama Madoka (Matsuyuki Yasuko), una ballerina professionista di Tokyo, che dovrà insegnare l’hula e che arriva con tubino bianco e occhialoni da sole, tutta elegante, annoiata e spaesata.
Per molti abitanti del luogo, in particolare per la poco romantica Chiyo (Fuji Sumiko), l’idea è un affronto agli usi e costumi della comunità. E quando le ragazze locali si rendono conto che danzare l’hula significa ancheggiare ed esporre il punto vita, si danno alla fuga. Le uniche superstiti sono Sanae (Tokunaga Eri), innamorata del palcoscenico, la sua riluttante amica Kimiko (Aoi Yu), l’eccentrica Shoko (Ikezu Shoko) e la spilungona e goffa Sayuri (Yamazaki Shizuyo).
Com’era prevedibile, le ragazze sono delle schiappe e Madoka fa solo finta di insegnar loro a ballare, occupata com’è a bere e fumare fino all’oblio. Ma quando l’esuberante Kimiko si ribella, Madoka ha un rigurgito di ambizione. Riuscirà a trasformare questo gruppo scalcagnato in danzatrici di hula, costi quel che costi. Ma nel frattempo, anche lei deve imparare qualche lezione sull’orgoglio locale; i suoi insegnanti saranno uno Yoshimoto ubriaco e Yojiro (Toyokawa Etsushi) il fratello di Kimiko, uno scapestrato dal cuore d’oro che diventa il difensore di Madoka e di Kimiko dalle ire di sua madre, la summenzionata Chiyo. Alla fine le ragazze che si erano date alla fuga ritornano – e Madoka ha il primo abbozzo di un corpo di ballo.
È lo stesso schema base del successo di Yaguchi Shinobu del 2004 Swing Girls, ma mentre Yaguchi restava su un tono leggero e spumeggiante, Lee si sofferma sulle complicazioni, dalla solita opposizione genitoriale a imprevisti e disastri di varia natura che riflettono le misere realtà del Giappone rurale a metà degli anni Sessanta.
Nella parte finale il film prende vita in modo trionfante, con le ragazze che baldanzose si fanno valere, in partricolare Aoi Yu in uno strepitoso assolo di hula, mentre la macchina da presa di Lee cattura ogni momento eroticamente esplosivo. Dimenticatevi Honolulu… Joban, arrivo!