Shin Ha-kyun interpreta in No Mercy For The Rude uno spietato killer muto e solitario, una figura che potrebbe immediatamente inscriversi in una lunga tradizione cinematografica fatta di solitudine, camere spoglie, poche o pochissime parole, donne lontane e misteriose.
La caratterizzazione del personaggio lo rende infatti una sorta di condensato di un secolo di killer di celluloide. A differenza di molti suoi colleghi, però, il killer muto uccide per un motivo ben preciso, e il suo mutismo non è solo il segno di un ascetico e nichilista distacco dal mondo, ma è dettato dall'imbarazzo che gli provoca una malformazione congenita alla lingua. Per pagarsi l'operazione da uno specialista giapponese, ha scelto di essere un killer a contratto e per accettarsi come tale si è dato una regola: quella di essere un killer con stile, che fa fuori solo chi di stile non ne ha. D'altronde il suo sogno è quello di essere un toreador, mangia solo pesce, e il suo piatto preferito sono le ostriche.
Questa variazione sul canone fa pensare al film come a una divertita operazione meta-cinematografica: i personaggi non hanno un nome, e i credits li riducono a delle pure funzioni narrative (lei, il bambino, il killer, come in Driver di Walter Hill), la voce off del killer si chiede come mai sta raccontando una storia se è muto.
Ma l'irruzione di una donna misteriosa (Yoon Ji-hye) e di un bambino orfano all'interno della vita del killer rappresentano una sorta di riscatto della realtà. Il film è guidato dai personaggi, e sono le loro caratterizzazioni a costituire il motore del racconto. Attorno al killer muto c'è una umanità di reietti, di sconfitti, tutti con un sogno da coltivare e una realtà da accettare: i suoi “colleghi”, fra cui un killer danzante che sogna di poter aprire una scuola di ballo, la prostituta che cerca di evadere dal rapporto che la lega al suo magnaccia, il bambino orfano, che ha bisogno di un padre.
Eppure il regista Park Cheol-hee, al suo esordio dietro la macchina da presa, rimescola nuovamente le carte. No Mercy For The Rude è infatti giocato su continui e improvvisi cambi di registro, dai momenti esplicitamente farseschi e parodistici alla violenza diretta e brutale degli omicidi, dalla commedia spensierata e leggera alle improvvise irruzioni del melodramma.
In un film disorientante, che sfugge a facili categorizzazioni, sono la forza dei personaggi e la bravura degli attori a offrire allo spettatore un appiglio sicuro. Il cast è ottimo. Shin Ha-kyun, volto che il pubblico del Far East Film conosce molto bene (JSA, Guns & Talks, Welcome to Dongmakgol), dimostra ancora una volta tutta la sua bravura e versatilità in un ruolo difficile, bizzarro, allo stesso tempo ridicolo e dall'ambiguo cinismo, guadagnandosi il coinvolgimento dello spettatore. Anche la prova di Yoon Ji-hye è riuscita, in un ruolo molto “coreano” di donna forte e sfuggente.
Il pubblico italiano non reagirà indifferentemente alle note che introducono e accompagnano la lunga, straziante e sanguinolenta tragedia finale: Bella Ciao, canzone italiana che più di ogni altra ha assunto il ruolo di inno dei resistenti e dei ribelli di ogni dove e epoca, è nella voce della musa di Nick Cave Anita Lane una melodia semplice, lineare, suadente, di una patinata inquietudine.
E, curiosamente, forse proprio questa potrebbe essere la chiave di lettura del film: l'elegante, chiaro e lineare splendore visivo si accompagna a un affastellarsi di idee, di spunti a volte poco controllati, a uno script dalla sovrabbondanza narrativa che però vive di una tensione, di un bisogno affabulativo, di una volontà di osare e di giocare con il cinema che lasciano ben sperare per la futura carriera del regista e sceneggiatore.