Il classico di Shin Sang-ok del 1958 dal titolo A Flower in Hell inizia con quello che fondamentalmente è materiale documentario della vita quotidiana nella Seoul del dopoguerra negli anni Cinquanta. In particolare predominano tra le immagini le inquadrature di soldati americani: in quell’epoca la società coreana era disperatamente povera, e uno dei pochi modi di assicurarsi una vita decente era instaurare un qualche rapporto con l’esercito americano e i suoi soldati, che disponevano di valuta forte.
Il piccolo criminale Young-shik (interpretato da Kim Hak) ne è un esempio: guadagna moneta sonante rubando provviste alla base militare americana e rivendendole sul mercato nero. Vive con la sua ragazza, una prostituta che si fa chiamare Sonya e che lavora specialmente con i soldati americani. Sonya, una classica figura di femme fatale, è interpretata con temerario abbandono dalla moglie di Shin Sang-ok, la famosa attrice Choi Eun-hee.
A Flower in Hell è però raccontato essenzialmente dal punto di vista di Dong-shik (Jo Hae-won), il fratello minore di Young-shik, ingenuo e puro di cuore, che viaggia dalla campagna fino a Seoul alla ricerca del fratello. Sperando di convincerlo a tornare a casa (nonché a uno stile di vita moralmente integro), Dong-shik va a vivere con Young-shik. Tuttavia, le sue suppliche non trovano ascolto, e allo stesso tempo lui inizia a farsi sedurre dalla mondana Sonya.
Pochi, tra i film coreani di quest’epoca, presentano le dure realtà della vita quotidiana con una forza così onesta come A Flower in Hell. L’interesse per le classi sociali più basse, e per il commercio sessuale tra soldati americani e prostitute coreane (spesso queste donne venivano apostrofate “principesse dell’Occidente”) rappresentano anche oggi un tema sorprendente. La descrizione di Sonya, in particolare, è affascinante: dà l’impressione di essere una predatrice pericolosa, ma anche sicura di sé, molto competente, affascinante. Gli spettatori dell’epoca, abituati a vedere Choi Eun-hee come una donna schiva e dall’animo puro sia sullo schermo che nella vita reale, da quel che si disse rimasero scioccati e a disagio nel vederla in questa veste.
A Flower in Hell rappresenta anche Shin Sang-ok al top della forma, come un cineasta estetico, nonostante gli ostacoli tecnici che ha affrontato (sembra che la cinepresa Arriflex, presa in prestito, continuasse a guastarsi durante le riprese). Per quanto l’intero film sia permeato di energia e di impeto, due sequenze in particolare si distinguono per la loro audacia: verso la metà del film, Young-shik orchestra un audace furto di materiali dalla base militare americana, mentre i soldati sono intrattenuti da un gruppo di danzatrici. La narrazione alterna lo spettacolo, carico di erotismo (e girato in un ambiente reale), con immagini del furto che viene messo a segno, costituendo una sequenza tesa e memorabile.
Tuttavia è la penultima scena - una lotta accanita tra la vita e la morte su un vasto campo di fango – che rimane, a buon diritto, la più famosa. È una stupefacente miscela di suono e immagine, con le due figure coperte di fango che lottano in un apparente ralenti, e insieme una scena da batticuore carica di suspense, mentre aspettiamo di vedere il risultato finale. Nessun altro film coreano dell’epoca contiene una scena che sia così visceralmente straordinaria, e che continui ad apparire così moderna.
Darcy Paquet