Il wrestling professionistico è uno dei soggetti più popolari fra i cineasti giapponesi e di altri paesi asiatici per ragioni di botteghino. Soprattutto in Giappone, questo sport è da diverso tempo una grossa attrazione e ha atleti di prima categoria, come Rikidozan, Antonio Inoki e Giant Baba, che hanno guadagnato vasta fama.
Gachi Boy, secondo film del ventisettenne Koizumi Norihiro, non è incentrato sui professionisti bensì su universitari che non hanno mai superato l’ossessione per il wrestling che avevano da ragazzini (o ragazzine). Allora questa sarà una commedia frivola, divertente e chiassosa, giusto? Non proprio. Tratto da una pièce teatrale di successo rappresentata per la prima volta dalla compagnia Modern Swimmers nel 2004, Gachi Boy è anche una storia di sovrumana perseveranza di fronte a una perdita inimmaginabile.
Trattandosi di un film a tema sportivo, deve per forza concludersi con un incontro importante e carico di pathos, che si svolge senza cavi né computer graphics né controfigure, e si avvicina il più possibile alla violenta e sanguinosa realtà degli incontri reali sul ring. Ricordate l’incontro di campionato in Rocky, quando sembrava che l’eroe malconcio potesse finire l’incontro riconquistando il suo orgoglio ma a costo di danni cerebrali permanenti? Il finale di Gachi Boy ha lo stesso tipo di intensità e suspense.
L’eroe del “Lord of the ring” Koizumi si chiama / Il “Lord of the Ring” di Koizumi è
Igarashi Ryoichi (Sato Ryuta), un genio che ha superato il (notoriamente difficile) esame giapponese di procuratore legale mentre era ancora studente di giurisprudenza. All’inizio del film sta prendendo coraggio per entrare nel malandato quartier generale della scuola di wrestling, un tempo leggendaria. Non avrebbe dovuto preoccuparsi, visto che il club è in rovina e cerca disperatamente nuove leve. I membri, tra cui l’attraente manager Asaoka Asako (Saeko) e il bel capitano del club Okudera Chihiro (Osamu Mukai) - il cui nome sul ring è Red Typhoon - accolgono Igarashi a braccia aperte.
Notano però che ha la strana abitudine di registrare tutto quello che loro dicono o fanno su un quaderno o con una telecamera. Beh, i geni hanno le loro bizzarrie, vero? E Igarashi è anche estremamente entusiasta di ripetere ancora e ancora la routine degli allenamenti. Gli viene dato un nome da combattimento, Mariryn Kamen, e fa il suo debutto in un incontro-spettacolo in un centro commerciale. Ha grande successo con il pubblico, ma dimentica che dovrebbe far finta e attacca il suo rivale per davvero.
Il suo problema - veniamo a sapere - è che la sua memoria è stata danneggiata da un incidente automobilistico un anno prima. Ryoichi ricorda ogni cosa precedente all’incidente, ma tutto quel che è accaduto dopo sparisce il giorno seguente. Così, ogni mattina, lui deve reimparare il suo sport, i suoi compagni, tutta la sua vita dopo l’incidente.
Cerca di nascondere la sua situazione ai suoi compagni di squadra, ma anche dopo essere stato scoperto e avvertito del pericolo che il wrestling comporta per il suo cervello, Ryoichi si rifiuta di smettere. I suoi ricordi non si protraggono fino al giorno seguente, ma la sua abilità nel wrestling sì. I dolori e i lividi gli ricordano (così come il suo quaderno) che lui esiste anche oltre il presente e per lui sono diventati preziosi.
Nel ruolo di Igarashi, Sato (Lorelei, Kisarazu Cats' Eye) comincia dalla parte più facile e comica, mostrando il fascino e l’impazienza da cucciolone del protagonista, ma poi si sposta sapientemente verso le profondità di un finale più drammatico, senza però sacrificare le qualità che hanno reso attraente il personaggio all’inizio. Quando Igarashi sale sul ring insieme a Red Typhoon contro i rivali più temibili (due fratelli biondi con corpi da dei greci e impulsi sadici) non è solo il ritratto di un altro eroe bidimensionale da film sportivo, bensì una figura a tutto tondo, toccata dalla tragedia ma che si rifiuta di cedere ad essa.
Il film contiene gag a bizzeffe, alcune crude e ovvie, altre che fanno ridere a crepapelle. Ma soprattutto, Gachi Boy ha energia, cuore - e coraggio. Sato e gli altri attori fanno personalmente i loro colpi, cadute e parate, che culminano nel finale impregnato di sudore e senza freni. Alcuni esibizioni sembrano alquanto pericolose, altre devono essere state davvero sfiancanti da eseguire scena dopo scena. Quasi mi aspettavo di vedere, alla fine, un rullo di riprese scartate come in un film di Jackie Chan, che mostrasse i vari infortuni subiti dagli attori. Il loro dolore, comunque, va a nostro vantaggio. Uscirete dal cinema pronti per eseguire una presa di testa sulla vita vera.
Mark Schilling