Alla fine del XV secolo (l’era Ayutthaya della storia thailandese, 1350-1767), l’ammutinamento di un commando militare porta alla morte del suo comandante Lord Sihadecho (Santisuk Promsiri) e di sua moglie (Pattama Panthongphetthai). Il loro giovane figlio Tien (Natdanai Kongthong) scappa per un pelo ma viene catturato da una banda di crudeli mercanti di schiavi, che per aver fatto resistenza lo gettano in una fossa di coccodrilli destinata ai combattimenti di gladiatori. Tien sconfigge il coccodrillo e viene riscattato da Chernang (Sorapong Chatree), il capo dei banditi della “Scogliera dell’Ala di Garuda”, il quale, intuendo che il ragazzo sta sviluppando un animo da guerriero, lo prende sotto la sua protezione e lo allena in diverse arti marziali. Anni dopo, ormai cresciuto, Tien (Tony Jaa) parte alla ricerca degli assassini dei suoi genitori per vendicare la loro morte.
Quella che segue è una serie infinita di combattimenti senza sosta, tonificanti, adrenalinici, violenti, imperniati sulle autentiche capacità dell’attore nelle arti marziali con una minima parte di effetti speciali. La scena del rito di passaggio è un palcoscenico per l’ottima padronanza di Tony Jaa della spada giapponese, del kung fu e del Muay Thai, in rapida successione. Tuttavia, il vero clou del film è la battaglia finale in cui Jaa affronta l’esercito degli assassini dei suoi genitori, perde completamente il controllo e combatte utilizzando sansetsukon (bastone ottagonale snodato simile al nunchaku), spade da samurai, e perfino la sua personale miscela di kickboxing e delle danze mascherate khon tipiche della Thailandia.
Paradossalmente, tutta questa violenza e distruzione vanno oltre la semplice ferocia per celebrare la prodezza fisica dell’uomo. Era dai tempi di Bruce Lee (in particolare dal postumo L’ultimo combattimento di Chen (Game Of Death), che qui viene ricordato sotto forma di un avversario molto alto che ricorda Kareem Abdul-Jabbar) che un film sulle arti marziali non mostrava una tale versatilità attraverso tutta una serie di discipline come fa Jaa nei lunghi duelli uno contro uno che caratterizzano il climax di Ong Bak 2.
Attraverso una faticosa serie di combattimenti, Tony Jaa non smette mai di sbalordire con il suo personaggio apparentemente invulnerabile. Cade attraverso tetti, si schianta contro muri, e sopravvive a una fuga di elefanti in preda al panico (domandoli nel frattempo!). I suoi stunts che mettono a rischio l’osso del collo incutono soggezione, facendoci sorvolare su alcune lacune nella trama del film, che non solo sembra avere ben poca parentela con il primo Ong Bak (l’ambientazione contemporanea di quest’ultimo indica che ci sono circa 500 anni di distanza tra i due film), ma che reclama anche un sequel (Ong Bak 3, che Jaa sta già girando).
In effetti si potrebbe dire che la storia di Ong Bak è quella dello stesso Tony Jaa: la storia di un maestro di arti marziali che continua a ispirare ed emozionare con il suo talento ruvido e creativo.
Sorradithep Supachanya