In Death Row Woman (Onna Shikeishu no Datsugoku) di Nakagawa Nobuo la protagonista è Kyoko (Takakura Miyuki), figlia di un ricco uomo d’affari. In apertura del film la vediamo litigare col padre per questioni matrimoniali, visto che lui vuole che lasci il fidanzato, povero ma onesto, per un buon partito che è ovviamente un mascalzone. Lei rifiuta e si precipita fuori dalla stanza.
Poco tempo dopo, il padre di Kyoko muore avvelenato e lei viene arrestata per omicidio, incriminata sulla base di false accuse e condannata a morte.
Una volta arrivata in prigione decide di provare la sua innocenza e, con l’aiuto di una detenuta tosta ma simpatica (Wakasugi Katsuo), fa una fuga spericolata e raggiunge il suo fidanzato. Ma con la polizia alle calcagna, riusciranno i due a smascherare in tempo il vero colpevole?
Malgrado la mescolanza di generi (dramma romantico, film di evasione e giallo), Nakagawa mantiene un ritmo d’azione serrato e la tensione alta, seppur cadendo a volte nel melodramma lacrimevole.
Il film ha anche un sottotesto femminista: Kyoko non solo si ribella alla scelta del futuro marito operata dal padre, ma decide anche di avere un figlio con il suo amante senza un certificato di matrimonio. Simili atti di ribellione contro le convenzioni sociali non erano affatto insoliti nel 1960, una quindicina d’anni dopo che l’occupazione aveva cominciato a liberare le donne giapponesi dal giogo feudale, ma erano ancora audaci per una donna dell’alta borghesia, da cui si esigeva l’accettazione delle tradizioni.
Nella parte di Kyoko, Takakura Miyuki è eccessivamente incline all’isteria e agli attacchi di pianto – non è certo una detenuta impetrurbabile. Nel complesso il film è più vicino per sensibilità ai “film per donne” dell’epoca, i cui temi tipici erano la sofferenza e il sacrificio femminili, che alle pellicole di exploitation degli anni Settanta sulle detenute, come la serie cult Sasori.
Nel contempo Death Row Woman forniva un modello per molti luoghi comuni del genere, come le zuffe fra donne e le descrizioni (tiepide, considerando gli standard successivi) di desiderio omosessuale.
Mark Schilling