Echoes Of The Rainbow

La modernizzazione continua di Hong Kong fa sì che ogni tentativo di ambientarci un ritratto nostalgico diventi un inferno per qualsiasi regista; ma Alex Law si dimostra all’altezza con Echoes Of The Rainbow, uno sguardo semi-autobiografico alla vita quotidiana nel 1969. Girato con una miscela perfetta di luoghi reali, set ricostruiti in studio ed effetti speciali discreti, questo film basato sulle speranze e sulle avversità di una famiglia riesce perfettamente a recuperare lo stile di vita del passato nella città. Gli spettatori fanno conoscenza con la famiglia Law, mantenuta da un padre calzolaio (Simon Yam) e dall’affaccendata moglie (Sandra Ng), nella loro casa nella zona popolare di Shamshuipo. La famiglia ha due figli; il maggiore è un rubacuori che fa corsa a ostacoli in una scuola d’élite, l’altro si accontenta di correre per la città rubacchiando ninnoli e sogna di diventare un astronauta. Sono tempi difficili nella storia della colonia, e gli hongkonghesi cercano di tirare avanti nonostante la corruzione dilagante, la carenza di acqua e il brutto tempo; in più la famiglia deve fare i conti anche con i propri problemi personali. Mentre lo sceneggiatore e regista Law inserisce una trama romantica aggiuntiva del tutto superflua e sfiora con troppa leggerezza i problemi sociali di Hong Kong di fine anni Sessanta, il film appare più riuscito quando si concentra sulla vita della famiglia. Tutto è reso attraverso brevi affreschi della comunità locale, mentre la comprensione crescente del mondo che lo circonda da parte del figlio più piccolo diventa un elemento centrale. Si possono fare confronti con la serie giapponese a grosso budget Always, ma in Echoes Of The Rainbow il cinema è una faccenda più terra terra. Gli attori Yam e Ng guidano la famiglia in modo convincente, con Ng che attinge al medesimo stile concreto e tenace che ha utilizzato per prestare la voce al popolare cartone animato Mcdull negli ultimi anni. I ragazzi non sono male; il giovane Buzz Chung è carino e vivace, la nuova cantante Aarif Lee è altrettanto attraente. Come bonus per i cinefili, si possono scorgere sullo sfondo i volti familiari di vari cineasti. Eppure, malgrado tutti i suoi meriti cinematografici, Echoes Of The Rainbow è diventato famoso a Hong Kong per motivi del tutto esterni alle sale cinematografiche. Prima dell’uscita del film in sala, nel mese di marzo 2010, la stradina filmata di fronte al negozio di scarpe della famiglia Law, Lee Wing Street, era stata destinata alla demolizione, mentre da più parti se ne chiedeva la conservazione. Quando, nel febbraio scorso, i bambini delle scuole tedesche hanno premiato il film con l’Orso di Cristallo al Festival di Berlino, a Hong Kong la stradina è finita in prima pagina su tutti i giornali. Se i giovani spettatori europei si interessavano ai siti del patrimonio hongkonghese, si chiedevano i commentatori, perché non avrebbero dovuto farlo anche i burocrati? In marzo, a una settimana dall’uscita di Echoes Of The Rainbow, è stata annunciata l’intenzione del governo di preservare quella stradina e il film di Law è stato visto come il catalizzatore del cedimento del governo. Echoes Of The Rainbow non è il primo film degli anni 2000 che vuole deliziare con un viaggio cinematografico lungo il viale della memoria: tanto per cominciare, lo hanno fatto anche Just One Look, Golden Chicken, My Life As Mcdull e altri titoli fra i film degli anni 2001-2002. Ma quei film erano antecedenti all’esplosione di interesse locale degli ultimi pochi anni per l’identità di Hong Kong e del suo patrimonio. Si tratta di un movimento sociale del quale il film di Law è ormai diventato parte integrante, e come tale potrà essere celebrato da un numero maggiore di hongkonghesi rispetto ai suoi predecessori.
Tim Youngs
FEFF: 2010
Regia: Alex LAW
Anno: 2010
Durata: 117'
Stato: Hong Kong

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