Il film più controverso mai prodotto dalla Shintoho, Bloody Sword Of The 99th Virgin (Kyujukyu-honme no Kimusume) di Magatani Morihei, è ambientato nelle montagne della Prefettura di Iwate, una zona remota che si potrebbe descrivere come i monti Ozark del Giappone. I montanari vengono descritti come dei primitivi superstiziosi e assetati di sangue, cosa che fu considerata discriminatoria dai locali - che avevano alle spalle un’effettiva tradizione di discriminazione - e da altri nella comunità. Probabilmente come risultato di ciò, il film è stato raramente visto in Giappone, anche se, contrariamente ad alcune opinioni, non è mai stato ufficialmente proibito.
Magatani, peraltro, stava solo tentando di fare un film che incutesse paura, con la storia di alcune ragazze “civilizzate” che finiscono nelle grinfie di montanari “incivili” che avrebbero potuto essere presi di peso da un film di Tarzan, sebbene ci fossero anche molti precedenti nello stesso Giappone.
Due donne, Mieko (Mihara Yoko) e Hanayo (Minakami Keiko), arrivano in montagna da Tokyo per una vacanza, ma scompaiono misteriosamente. Mentre sono alla loro ricerca, due amici bloccano una vecchia dall’aria sospetta (Satsuki Fujie), ma prima che riescano a strapparle informazioni, la vecchia fugge.
Intanto, i membri di un clan di montagna si preparano per la grande festa del fuoco, che si tiene solo una volta ogni dieci anni. Il capo del clan dice al sacerdote del locale tempio scintoista (Numata Yoichi) che tutti gli stranieri devono andarsene dalla montagna, compreso lui. Il motivo non dichiarato è che durante la festa dovranno sacrificare una vergine e i membri del clan non vogliono testimoni esterni.
Quando però due carbonai che erano in montagna al momento sbagliato vengono trovati uccisi, arriva la polizia per indagare; e scopre 98 lunghe spade sul terreno del tempio, tutte forgiate nel sangue di vergini sacrificate. Intanto i preparativi per la festa procedono spediti, ivi compreso il sacrificio rituale per forgiare la novantanovesima spada.
Ovviamente, questo “rituale tradizionale” è pura finzione, e i partecipanti sembrano essersi trasferiti da un villaggio di contadini a un dramma di samurai. Il rituale stesso, tuttavia, possiede un certo potere ossessionante, che riecheggia in altri horror giapponesi successivi con lo stesso tema da “cuore di tenebra”, come Inugami (2001) di Harada Masato, o Shrill Cries Of Summer (Higurashi no Naku koro ni, 2008) di Okinawa Ataru e Higanjima (2009) di Kim Tae-gyun - sebbene gli indigeni in quest'ultimo film vogliano sangue innocente perché sono morti viventi.
Mark Schilling