Dopo l’enorme successo commerciale di Rainbow Troops, il più grande dell’ultimo decennio in Indonesia (e terzo premio al Far East Film del 2009), era inevitabile che il regista Riri Riza e la produttrice Mira Lesmana adattassero per lo schermo anche il secondo capitolo della trilogia autobiografica dello scrittore Andrea Hirata, The Dreamer (Sang Pemimpi). La squadra vincente non è cambiata: l’adattamento è stato nuovamente curato dai due, con l’apporto di Salman Aristo, mentre l’equipe tecnica del primo film (che aveva garantito una produzione di standard altissimi per la cinematografia indonesiana) è stata pressoché integralmente confermata.
The Dreamer, però, comporta una scommessa aggiuntiva rispetto a Rainbow Troops: da un lato, come in quasi tutte le trilogie, si tratta del capitolo che fa da ponte tra un primo episodio acclamato e un terzo che chiuderà le fila del racconto; dall’altro, nello specifico, si tratta di una storia che porta i protagonisti dall’infanzia alla difficile età dell’adolescenza. In tal senso, rispetto alla platea indonesiana (e probabilmente rispetto pure a quella internazionale), è inevitabile che The Dreamer sia un film più “difficile”: lasciata la tenerezza dell’infanzia e la facile empatia per le traversie di poveri bambini di un villaggio sperduto, qui si raccontano i sogni, le fantasie e le frustrazioni di un terzetto d’adolescenti e giovani adulti, alle prese con lo studio, il lavoro, i primi amori e persino il risveglio alla sessualità. Inevitabilmente, quest’ultimo elemento (con pulsioni esacerbate dall’ammiccante locandina di un discinto film locale, Skandal Metropolis, che, come ne Le Tentazioni del Dottor Antonio di Fellini, si anima per lusingare il protagonista) è quello che ha creato più resistenza presso le fasce più conservatrici del pubblico locale (quando, invece, con il suo messaggio ecumenico e inclusivo, Rainbow Troops aveva incontrato un consenso unanime tra le fazioni politiche più distanti, dagli islamici moderati a quelli più oltranzisti).
Ciononostante, il film ha richiamato più di due milioni di spettatori al botteghino, affermandosi quindi tra i più grandi successi dell’ultima annata.
The Dreamer si apre sull’immagine chiave del padre del protagonista Ikal nella sua tenuta da giorno di festa (una camicia da safari con quattro tasche) a cavallo della sua bicicletta; si tratta di un leit motiv che verrà pienamente esplicato solo più avanti nel film - che è peraltro dedicato con affetto ai padri di produttori, regista e sceneggiatore. In uno dei molti brillanti salti temporali e spaziali che Riri Riza inscena nel film, si passa quindi all’immagine di un Ikal adulto che lavora infelice presso un ufficio postale di Bogor alla fine degli anni Novanta: il suo sogno di viaggiare per il mondo e di studiare alla Sorbonne di Parigi pare infranto; il cugino Arai, dopo averlo illuso nutrendo e fomentando i suoi sogni, ora l’ha tradito, sparendo senza lasciare alcuna traccia. Sul ciglio di un ponte, Ikal sta per gettare definitivamente al vento i suoi sogni, quando un terzetto di studenti che fuggono dalla scuola lo fa piombare nel ricordo di una fuga vissuta tre lustri addietro. Ikal, Arai e l’inseparabile e balbuziente amico Jimbron all’epoca condividevano marachelle, duro lavoro e, soprattutto sogni d’emancipazione dalla povertà e di conquista di terre fantastiche e lontane - l’esotica Africa, la colta Europa - attraverso studio, letteratura e poesia, sobillati dal maestro da Attimo fuggente Julian Balia. E ancora un passo indietro, per scoprire come nell’infanzia Arai avesse perso il padre e, rimasto orfano, fosse stato accolto nella famiglia di Ikal e come Jimbron fosse divenuto amico dei due per la comune passione per il telefilm The Lone Ranger, quando Ikal voleva diventare un indiano, Arai un cowboy e Jimbron un cavallo…
La costruzione di una complessa eppure fluidissima e mai lambiccata struttura a scatole cinesi rappresenta uno dei grandi successi conseguiti da Riri Riza in The Dreamer. Un film che è forse il suo più bello e maturo, grazie anche ai passaggi lirici che segnano alcune transizioni (si pensi al salto nella cassa del pesce che stacca su un tuffo nel mare più azzurro), al discreto, ma intenso utilizzo delle musiche e alla sempre convincente direzione d’attori - e qui, ancora una volta, con la scelta dei giovani e intensi protagonisti, Vikri Septiawan, Rendy Ahmad e Azwir Fitrianto, Riri Riza conferma il suo fiuto nello scoprire volti nuovi di sicuro carisma e solida presenza scenica, capaci di toccare e conquistare i cuori degli spettatori.
Paolo Bertolin