In Yellow Line (1960), terzo episodio della serie Line di Ishii, la storia centrale si svolge nella “Casbah” di Kobe, con i suoi vicoli stretti e contorti pieni di forestieri, criminali ed emarginati di ogni genere (anche se la “Casbah” era stata ricostruita in studio e nelle altre riprese al posto di Kobe c’era Yokohama).
Un killer (Amachi Shigeru) viene tradito dal suo datore di lavoro che vuole consegnarlo alla polizia; alla stazione di Tokyo prende in ostaggio Emi (Mihara Yoko), una ballerina che sta andando a iniziare un nuovo lavoro, e salta su un treno per Kobe. Poco dopo, il fidanzato giornalista di Emi, Mayama (Yoshida Teruo), trova una scarpa che lei ha fatto cadere sul binario. Sospettando che Emi possa essere finita in una trappola tesa da un giro di prostituzione che ha il suo quartier generale a Kobe, parte di corsa verso la città portuale del Mar del Giappone.
Una volta arrivata a Kobe, Emi scribacchia una richiesta di aiuto su una banconota da 100 yen e la passa al commesso di un negozio di calzature, ma nessuno si accorge di nulla finché una giovane impiegata, Yumiko (Sanjo Mako), la riceve per caso con il resto. Ma poi anche Yumiko viene rapita da due trafficanti stranieri. È tutto perduto?
Mayama, però, non è un cronista ficcanaso per nulla. Ben presto raccoglie diversi indizi che lo conducono alla Casbah e ai suoi micidiali frequentatori. In questo film, più che in qualunque altro del suo periodo Shintoho, Ishii fu in grado di creare quella sua speciale atmosfera, un po’ al confine tra sogno e realtà, dove il proibito e l’illecito attraggono e minacciano in egual misura.
Mark Schilling