Chicken and Duck Talk, una delle commedie cinematografiche hongkonghesi più amate dal pubblico, nel 1988 issò con gran clamore la bandiera delle tradizioni locali che lottano per sopravvivere. La storia è ambientata nel ristorante di Ah Hui, nel quale il servizio disastroso e la totale mancanza di igiene non sono sufficienti ad arginare i clienti, che vi si riversano per la specialità cantonese, l’anatra arrosto.
Tutto cambia però quando dall’altra parte della strada apre un fast food occidentale, che espone tutto quel che serve per portargli via i clienti. Mentre l’ipercompetitivo Danny’s Fried Chicken organizza l’assalto alle attività di ristorazione locali, lo spilorcio direttore del ristorante tradizionale, Hui (Michael Hui) deve combattere per tenersi stretto il suo indecoroso personale e riconquistare i clienti - o perdere per sempre il suo ristorantino.
Con gli hongkonghesi che di questi tempi vanno affermando più che mai la loro identità locale e il loro patrimonio culturale, Chicken and Duck Talk si pone come un delizioso precursore pop-cult del movimento. Sotto la direzione di Hui e del regista e sceneggiatore Clifton Ko, il ristorantino tipico è un microcosmo bisunto delle pratiche commerciali di Hong Kong, in urgente bisogno di darsi una ripulita. Su quel fronte il film è una fucina di caricature, che scodella immagini familiari agli spettatori del posto (camerieri che tengono i bicchieri mettendoci le dita dentro, donne delle pulizie che passano lo straccio sotto i tavoli con i clienti ancora seduti, il macellaio che lavora con la sigaretta in bocca).
Attraverso la concorrenza spietata del signor Poon (Lawrence Ng), capo del fast food, e del suo scagnozzo (Ku Feng), il film calca la mano nella rappresentazione della strategia commerciale straniera, dipinta come una faccenda ben poco sana, e conferma l’immagine delle catene multinazionali di negozi che schiacciano le attività a conduzione familiare. Nei panni del protagonista, Michael Hui arricchisce ulteriormente la sua gamma di ritratti comici di padroni meschini: questa volta il padrone non infastidisce solo i dipendenti, ma anche l’amorevole moglie (Sylvia Chang) e la suocera che va a trovarli (l’attrice veterana Pak Yan). Ricky Hui, che interpreta il cameriere Cuttlefish (Seppia), sostiene il peso maggiore degli assurdi metodi di riduzione delle spese messi in atto dal padrone, mentre il resto del personale si dimostra una massa ben vivace.
La regia di Clifton Ko (verso la fine degli anni Ottanta Hui aveva deciso di limitarsi al ruolo di sceneggiatore, attore e produttore esecutivo) è giocosa e veloce, e si destreggia con grande disinvoltura tra lo slapstick e la sfumatura. Le scene comiche sono sapientemente coreografate, e il cast corale recita come una troupe perfettamente affiatata. Vi sono cenni umoristici all’ansia legata al passaggio alla Cina del 1997, e una colonna sonora che riecheggia Jacques Tati conferisce all’azione brillantezza e vivacità.
Attraverso tutto il film ricorrono quelle preoccupazioni sociali che riflettono la convinzione di Hui, secondo la quale anche nell’umile commedia i cineasti dovrebbero cogliere l’occasione per esprimere la propria opinione.