Sun-yi (interpretata dall’attrice di teatro Lee Young-ran) ha una sessantina d’anni e si sta godendo l’autunno della sua vita con la sua famiglia allargata, nel Nord America. Un giorno riceve una telefonata dalla Corea a proposito di una casa di campagna nella provincia di Gangwon che una volta apparteneva alla sua famiglia. La telefonata innesca un flashback che la riporta a quarantasette anni prima quando, adolescente (Park Bo-young, Scandal Makers), malata di tubercolosi e ridotta in povertà in seguito al fallimento dell’impresa del padre, è costretta a trasferirsi insieme alla sorellina e alla mamma in una remota casa di campagna, di proprietà di un ricco cialtrone, Ji-tae (Yu Yeon-seok, Horror Stories). Un giorno Sun-yi, cupa e immersa in fantasie di evasione, incontra un ragazzo selvaggio dal fisico inspiegabilmente sano (Song Joong-ki, Penny Pinchers). Si scopre che un biologo folle (ne esistono di qualche altro tipo?) aveva condotto in quella casa uno strano esperimento segreto che aveva a che vedere con i lupi. Il ragazzo potrebbe essere il risultato di quell’ignobile impresa?
A Werewolf Boy ha suscitato un enorme apprezzamento da parte del pubblico femminile coreano più giovane, che lo ha consacrato come uno dei più grandi successi nazionali del 2012, con oltre sette milioni di biglietti venduti. Mettiamo le cose in chiaro: se avete detestato la serie Twilight e non avete mai capito perché le ragazzine ne vadano matte, se non sopportate il concetto di “vampiri vegetariani” che brillano come una lastra di vetro quando vengono colpiti dalla luce del sole, allora statevene alla larga da A Werewolf Boy. Permettetemi di ribadirlo: questa è la storia di una giovane ragazza coreana, ideata intenzionalmente per essere un avatar sul quale le spettatrici adolescenti di oggi possano proiettare le loro fantasie (non è stata fatta molta fatica per concepire il personaggio di Sun-yi in modo storicamente autentico nel contesto della Corea degli anni Sessanta); e che riesce a ottenere il ragazzo perfetto: bello, muto (niente rispostacce), praticamente immortale e (letteralmente) fedele come un cagnolino. Siete alla ricerca di oscure motivazioni psico-sessuali che facciano capolino dietro il bagliore dorato e sfumato del paesaggio montano di Gangwon? Fidatevi di me, non ce ne sono. Se riusciamo a vedere chiaramente il film per quello che è, non è una sorpresa che A Werewolf Boy sia stato un successo al botteghino. È congegnato apposta per catturare il cuore delle spettatrici (pre)adolescenti, che si identificano totalmente con Sun-yi e squittiscono gridolini di gioia alla vista dell’esageratamente bello Song Joong-ki, che si comporta come un Labrador Retriever, intelligente ma non troppo, e che quando arriva il climax del film piangono tutte le loro lacrime.
Naturalmente, questo non vuol dire che A Werewolf Boy sia solo sdolcinatissima fuffa. Lo sceneggiatore e regista Jo Sung-hee, del quale in molti hanno apprezzato il film precedente, End of Animal, per l’atmosfera strana ma inquietante, controlla con molta sicurezza tutti gli elementi. La carineria è ben integrata nella trama, così come la caratterizzazione dei personaggi. Jo riesce a gestire anche gli attori bambini con notevole facilità, mantenendo il tono delle loro interpretazioni nel giusto equilibrio rispetto agli adulti. Il tono generale del film è impostato a un livello decisamente esagerato, ma mai lezioso.
Con gli antagonisti del film non va altrettanto bene: il regista cerca di infondere una certa umanità a Ji-tae ma, nonostante gli sforzi di Yoo, il personaggio non va mai oltre la sua aggressiva pettinatura impomatata che sembra posticcia. Quando arriva l’inevitabile momento di azione con il lupo mannaro, è sorprendentemente ben fatto; sono ridotti al minimo gli effetti di computer graphics decotti che hanno guastato thriller di genere altrimenti eccellenti, come Chaw.
A Werewolf Boy non è né Un lupo mannaro americano a Londra né Il ragazzo selvaggio di Truffaut, ma una volta regolate di conseguenza le proprie aspettative, si può apprezzare come un fantasy da ragazzine con note melodrammatiche. È un film perfetto per un pigiama party per le vostre figlie, nipoti o sorelle adolescenti, che divoreranno il film tutto intero senza lasciarne neanche un ciuffetto di peli. Per quanto riguarda il finale, è senza dubbio una fantasticheria potente per le giovani ragazze coreane, ma in ultima analisi il film potrebbe avere un messaggio conservatore. Oppure potrebbe essere che a me piacciono di più i gatti.
Kyu Hyun Kim