Tratto dal famosissimo manga di Watsuki Nobuhiro, il fantaspadaccino brigante di Otomo Keishi delizierà molti fan, anche se qui cerca di attirarsi le simpatie dei non fan con una storia indipendente e ricca di scene di azione assai dinamiche. Ciò significa che anche se le loro conoscenze su questo eroe assassino redento e del suo mondo sono pari a zero, gli spettatori non resteranno stupiti – né annoiati.
Lui è Himura Kenshin (Sato Takeru), soprannominato Hitokiri Battosai, un ex assassino che ha giurato di non uccidere più in seguito alla lunga lotta ingaggiata per porre fine al governo dello Shogunato, nella quale Kenshin si era schierato dalla parte dei vincitori. Quando lo incontriamo nel 1878, dieci anni dopo la fine di quella battaglia, è ancora magro e con un’aria imberbe rispetto al duro ronin (samurai senza padrone) che vaga per le strade, ma non da meno quando si tratta di usare la spada, anche se il lato mortale della sua arma è stato invertito (le spade dei samurai tagliano soltanto da un lato).
Poi Kenshin si imbatte in Kamiya Kaoru (Takei Emi), che ha ereditato dal defunto padre una scuola di kendo a Tokyo e si trova ad affrontare due problemi più grandi di lei. Il primo: uno spadaccino misterioso che si fa chiamare Battosai anche lui e dichiara di appartenere alla scuola del padre, accoltella e ammazza gente a casaccio (queste uccisioni di gente della classe più bassa per mano dei samurai un tempo erano consentite come privilegio del rango, ma non più nella nuova epoca illuminata). Il secondo: un medico donna di nome Megumi (Aoi Yu) si è rifugiata nel dojo dopo essere sfuggita alle grinfie di Takeda Kanryu (Kagawa Teruyuki), un subdolo e tronfio mercante da cui è stata ingaggiata per sviluppare un nuovo tipo di oppio che l’uomo intende utilizzare per accumulare ancora più ricchezze e potere. Quando Kanryu sguinzaglia i suoi tirapiedi contro Megumi, Kaoru, che non è una wonder woman, non riesce a fermarli da sola.
Ovviamente Kenshin interviene per aiutarla, con l’aiuto di Sagara Sanosuke (Aoki Munetaka), un altro combattente che vive ai margini della società, anche se è schierato dalla parte della giustizia. I loro rivali tuttavia sono alquanto temibili: Kanryu chiama in sua difesa centinaia di ronin famelici e l’altro Battosai dispone di poteri che rasentano il soprannaturale.
Benché Runouni Kenshin con i suoi personaggi esuberanti sia divertimento in puro stile manga, si presenta anche come il riflesso del caos di un’epoca in cui i costumi del samurai stavano morendo per lasciare il posto a una nuova età dal carattere moderno e occidentale.
Inoltre le sequenze di azioni, orchestrate dalla coreografia del veterano di formazione hongkonghese Tanigaki Kenji, sono sia imponenti sia abbastanza realistiche, nonostante il materiale originale del film sia destinato ai bambini. Gli attori e gli stuntman sono sottoposti a una dura prova che lascia il segno, anche se sullo schermo non muore nessuno. Kenshin è di certo il pacifista più battagliero dai tempi del Lone Ranger.
Mark Schilling