In un film sul pugilato l’incontro più importante del protagonista, oltre a quelli che lo precedono e lo preparano, non deve essere la semplice cronaca di un evento sportivo, ma parte di una storia. Alcuni cineasti raccolgono questa sfida con un realismo sanguinoso, come Martin Scorsese nel classico del 1980 Toro Scatenato, altri invece lo schivano con modalità da cartone animato, come nel caso di Sori Fumihiko e del suo film del 2011, Tomorrow’s Joe (Ashita no Joe).
Take Masaharu sceglie il primo di questi due approcci in 100 Yen Love, che ha vinto il premio per il miglior film nella sezione Japanese Cinema Splash del Tokyo International Film Festival 2014. A differenza, però, di molti film sul pugilato che sono drammi al testosterone (compreso quello di Scorsese), Take incentra il suo film su una donna e lo comincia come una black comedy.
Tratto da una premiata sceneggiatura di Adachi Shin, 100 Yen Love è quindi un’anomalia nel genere, ma le sue scene di allenamento e combattimento hanno un vigore eccezionale, da far impallidire Rocky.
Take, che ha collaborato con Adachi anche per la commedia a basso budget del 2013 Mongolian Baseball (Mongol Yakyu Seishunki), è sicuramente degno di nota, ma è l’interpretazione intensa di Ando Sakura nel ruolo dell’improbabile protagonista femminile Ichiko a portare il film a vette di grandezza.
All’inizio della storia Ichiko è una trentaduenne scansafatiche, disoccupata, single e senza alcuno scopo nella vita. Casa sua non è un’oasi di pace, con la sua scontrosa sorella (l’attrice Saori) che rimprovera Ichiko per la sua pigrizia di fronte a qualsiasi opportunità. I suoi genitori sono più tolleranti, ma Ichiko ben presto si stufa, trasloca e inizia a lavorare come cassiera in un negozio del genere “Tutto a 100 yen”.
Il lavoro, però, non è quel che si dice un passo avanti. Il suo collega di mezza età (Uno Shohei) è un viscido sporcaccione, mentre il capo (Okita Yuki) è pedante e ossessionato dalle regole. Un’esuberante barbona (Negishi Toshie) che fa scorribande nel negozio a caccia di cibo scaduto rende le cose più eccitanti, ma Ichiko è attratta maggiormente da un cliente abituale – un pugile lunatico e taciturno (Arai Hirofumi) che si allena in una palestra del quartiere ed è stato soprannominato “Banana Man” per gli acquisti frequenti del suddetto frutto.
La storia continua come una commedia di vita quotidiana quando Ichiko e il pugile Yuji iniziano a frequentarsi e vanno a vivere insieme, sebbene lui all’inizio faccia fatica ad accorgersi di lei. Poi le cose prendono una piega su cui non starò a dare particolari – dirò solo che Yuji improvvisamente interrompe la relazione e anche la boxe, e che questo fa scattare qualcosa in Ichiko, che inizia ad allenarsi in quella stessa palestra.
Il film non spiega questo cambiamento con l’inflazionata motivazione “Voglio prendere in mano la mia vita”; anzi, le ragioni di Ichiko risultano piuttosto misteriose. Ma mentre lei si trasforma da goffa principiante a concentratissima pugile, vediamo sacchi da boxe e sparring partner farsi carico di una frustrazione e di una rabbia che sembrano essersi accumulati in lei nel corso di una vita intera.
In tutto ciò non c’è nulla di strano; invece, quello che è decisamente fuori dall’ordinario è la totale aderenza di Ando alla parte: i suoi colpi e persino il modo in cui salta la corda possiedono una furia e un’abilità che vanno oltre la pura recitazione. Nella vita reale si dice che Ando abbia iniziato a tirare di boxe quando era ancora alle scuole medie; per questo nel film traspare la sua conoscenza di questo sport, e anche la sua familiarità con il dolore fisico a esso collegato.
Ciò diventa manifesto soprattutto quando lei si trova sul ring a fronteggiare un avversario. La vera prova che un film sulla boxe deve superare sono le scene di combattimento, e quelle di 100 Yen Love veicolano perfettamente l’assoluta ferocia di questo sport, con colpi spietati che manderebbero chiunque lungo disteso. Certo, sul ring ci sono due donne, non Robert De Niro o Sylvester Stallone, ma non per questo il film perde d’intensità, soprattutto quando una di esse combatte per sconfiggere il proprio passato e quell’etichetta di “ragazza da 100 yen” che si porta addosso.
Mark Schilling