Sin dai primi minuti di Kung Fu Jungle è chiaro che quello che il regista Teddy Chen ha messo in piedi è molto di più di un normale film di smargiassate di arti marziali. Quando, dopo i titoli di coda, sfilano i camei dell’industria cinematografica, quello che si delinea rapidamente è un meraviglioso tributo al cinema d’azione di Hong Kong, che ricorda agli spettatori come gli assi dei film d’azione hongkonghesi possano competere benissimo con la concorrenza popolare e a grosso budget di Hollywood.
Il maggior divo del cinema d’azione hongkonghese dei nostri giorni, Donnie Yen, interpreta Hahou Mo, un ex istruttore di arti marziali cui è stata concessa la libertà provvisoria perché aiuti la polizia a catturare un serial killer. Quando viene diffusa la notizia del primo delitto, il brutale assassinio di un pugile, Mo intuisce quello che sta succedendo e implora il poliziotto veterano Luk Yuen-sum (Charlie Young) di coinvolgerlo nelle indagini. Una previsione sulla vittima seguente si rivela corretta e ben presto Mo si ritrova nelle zone più selvagge di Hong Kong e di Foshan, sulle tracce di una vera carogna.
Per gli spettatori, almeno, l’identità del cattivo non è un segreto: si tratta di Fung Yu-sau (Wang Baoqiang), un giovane lottatore proveniente dalla Cina continentale, che si è addestrato con estremo zelo per superare la sua disabilità. È il tipo di lottatore che usa un sacco da boxe pieno di detriti, che si frantuma sulla faccia del sale grosso per ispessire la pelle e che è determinato a diventare il numero uno, eliminando i migliori nel campo delle arti marziali. E chi c’è in cima alla lista degli avversari? Hahou Mo, naturalmente.
Smascherare Fung molto presto permette agli autori di offrire al pubblico una serie di combattimenti, ispirati ai diversi stili di arti marziali. L’attore Yu Kang è impegnato nella lotta corpo a corpo, un combattimento con Xing Yu mette in primo piano il lavoro di gambe, mentre spade e bastoni sono utilizzati in una feroce battaglia su un set cinematografico con il veterano delle arti marziali Louis Fan. Questo tipo di approccio ricorda i film sulle gare di kung fu degli anni Settanta, nei quali i contendenti si esibivano sul ring in ogni sorta di disciplina. Un ventaglio di opzioni così variegato poteva risultare particolarmente impegnativo per Wang Baoqiang, ma l’attore se la cava egregiamente in tutti gli incontri. E poi c’è Donnie Yen: in Kung Fu Jungle il divo non delude, a iniziare da una scena scatenata nella quale da solo sconfigge diciassette prigionieri solo per richiamare l’attenzione di qualcuno. È un’ottima anticipazione su cosa aspettarsi nell’inevitabile duello finale: uno spettacolo mozzafiato ambientato in una superstrada, in mezzo allo sfrecciare dei TIR.
Come accadeva già in molti film d’azione hongkonghesi vecchio stile, Kung Fu Jungle non è sempre altrettanto spettacolare sul piano della sceneggiatura. Le esponenti del gentil sesso sono buttate lì con una scarsa risonanza emotiva e l’attività della polizia può essere superficiale. Ma come mezzo per infilare il numero massimo di arti marziali in una confezione moderna e scorrevole, Kung Fu Jungle riesce con abilità a essere contemporaneamente cinema nostalgico e rivisitazione delle solite vecchie storie. I registi d’azione Yuen Bun e Yan Hua, lavorando con il coreografo Stephen Tung Wai e la Hong Kong Stuntmen Association, inscenano l’azione in ampie sale, in piccoli spazi interni, in un villaggio di pescatori ed altro, e impiegano oggetti di scena insoliti come un’immensa scultura a forma di scheletro. La moderna CGI non manca, ma gli autori non attirano l’attenzione sul suo utilizzo, preferendo invece impressionare con le arti marziali vere e proprie e l’uso di cavi, amplificando il tutto con un’atmosfera più attuale ed enfatica.
Kung Fu Jungle termina con la lista dei nomi di tutti i camei del film e delle altre apparizioni sullo schermo di personaggi famosi del cinema d’azione di Hong Kong, dai luminari delle arti marziali come il compianto Lau Kar-leung al capo della Golden Harvest Raymond Chow. Nel momento in cui gli amanti del cinema di Hong Kong hanno sempre meno contatti con le emozioni e la maestria del cinema di marziali, dato il predominio di appariscenti prodotti di importazione nei multiplex della città, il film di Teddy Chen non apporta solo una gradita dose di nostalgia, ma costituisce anche un elemento di sensibilizzazione verso il patrimonio culturale locale per la nuova generazione.