Duk-soo, il protagonista di Ode to My Father del regista JK Youn, è un uomo che ha accantonato i propri sogni, messo a repentaglio la propria salute, vissuto fuori dal suo paese e lavorato fino a consumarsi, e tutto per il bene della sua famiglia. Eppure, quando lo vediamo anziano e circondato da figli, figlie e nipoti, risulta palese che la sua famiglia non gli è particolarmente affezionata. Quando i nipotini arrivano a casa sua, evitano le sue braccia protese e corrono verso la nonna, mentre i figli ormai adulti sono pronti a criticarlo per ogni errore, con voci cariche di esasperazione. E quando la famiglia parte per le vacanze, non se lo porta dietro.
È questo uno dei paradossi che stanno alla base di Ode to My Father, un film epico dalle proporzioni di un blockbuster che riesce a raccontare la storia di un’intera generazione: nello specifico, della generazione di chi era bambino durante la guerra di Corea tra il 1950 e il 1953, e che è diventato adulto in un’epoca nella quale la Corea del Sud stava lottando per uscire dalla povertà. È la stessa generazione del padre del regista Youn, che afferma di aver voluto tributare un omaggio al monumentale sacrificio di quella generazione che ha reso possibile ai coreani di oggi di vivere in un relativo benessere e negli agi.
Duk-soo è solo un ragazzino quando, nel dicembre del 1950, l’esercito cinese arriva nella sua città natale di Hungnam, nella Corea del Nord, e la sua famiglia è costretta a fuggire. Nella confusione, mentre cerca di salire su una nave, perde la presa della mano di sua sorella e viene separato da lei e dal padre (questa scena, tra parentesi, ha luogo sullo sfondo di uno dei più famosi eventi della guerra). Il resto della sua famiglia si stabilisce a Busan, ma l’assenza del padre è per lui una ferita che non guarirà mai. Diventato quasi adulto, Duk-soo (interpretato dal versatile Hwang Jung-min di New World e You Are My Sunshine) si assume la responsabilità di mantenere i familiari.
La storia di Duk-soo è un po’ melodramma, un po’ Forrest Gump, un po’ black comedy e un po’ incredibilmente seria. Uno degli aspetti sorprendenti di questo film è che malgrado tanti elementi e umori contrastanti riesce a mantenere viva l’attenzione del pubblico fino a un momento culminante più o meno rassicurante. Mentre gli anni corrono veloci, il protagonista ha una breve storia d’amore con Youngja, interpretata da Kim Yun-jin (Shiri e la serie televisiva Lost), ma è il suo migliore amico Dalgu (Oh Dal-soo, Oldboy) la persona con cui egli costruisce il legame più forte. Gli sforzi di Duk-soo e Dalgu per uscire dalla miseria finiscono per portarli nelle miniere di carbone in Germania e più tardi nella guerra del Vietnam.
Ciò che rende interessante Ode to My Father non sono tanto le sue nobili intenzioni o le sue ricostruzioni straordinariamente particolareggiate dei panorami urbani o di campagna del passato, bensì il fatto che, in mezzo a tanto fervore epico e formidabile ambizione. Ci siano momenti di inaspettata umanità che catturano l’assurdità di fondo della vita.
In tutti i film precedenti del regista Youn, dalle commedie come My Boss, My Hero (2001) e Sex Is Zero (2002) fino a blockbuster come Haeundae (2009), c’erano momenti inaspettatamente seri che interrompevano il divertimento. La dinamica di Ode to My Father è per alcuni aspetti diversa, ma anche questo film è molto più complesso di quanto possa sembrare a prima vista.
Duk-soo ottiene sicuramente alcune vittorie col passare dei decenni, ma alla fine il film è la storia della sofferenza che si porta dietro. La sua tragedia deriva in parte dal fatto che è stato obbligato ad abbandonare i suoi sogni e a lavorare così duro per tutta la vita, in parte è dovuta alle ferite ancora aperte e alla separazione causata dalla guerra di Corea. Ma c’è anche il fatto che il suo ininterrotto sacrificio e tutte le ore spese a lavorare gli hanno tolto il tempo e l’energia emotiva per costruire dei rapporti stretti con la sua stessa famiglia. E questa è un’osservazione acuta su una generazione nata e cresciuta in un’epoca di ristrettezze economiche.