The Way of the Dragon

Bruce Lee era già sulla cresta dell’onda quando diresse il suo primo lungometraggio, L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente (The Way of the Dragon). L’ex divo bambino di Hong Kong, diventato attore ed esperto di arti marziali negli Stati Uniti, aveva fatto ritorno in territorio hongkonghese e suscitato subito scalpore con Il furore della Cina colpisce ancora (The Big Boss, 1971) e poi con Dalla Cina con furore (Fist of Fury, 1972). I due film, diretti da Lo Wei, sfruttavano l’incredibile insieme di competenze di Lee: riflessi fulminei, movimenti di altissima precisione e un atteggiamento sicuro, che gli permettevano di trasformarsi in un lampo da amabile uomo qualunque a superman tutto muscoli. 
 
Lee, che si era già occupato della regia di alcune sequenze di azione nei primi due film e in altre produzioni negli Stati Uniti, moriva dalla voglia di dirigere un suo film. Con una nuova società di produzione, formata da lui stesso e dal capo della Golden Harvest Raymond Chow, Lee cercò di innalzare di un paio di livelli gli standard del cinema di Hong Kong con l’ambizioso L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente, ambientato in Italia. Il risultato gli diede ragione: alla fine il debutto alla regia di Lee fece registrare un nuovo record per il botteghino di Hong Kong quando uscì in sala, nelle ultime settimane del 1972.
Il pubblico fa la conoscenza di Tang Lung, il personaggio interpretato da Lee, al suo arrivo all’aeroporto di Roma, affamato e in grado di parlare soltanto in cantonese. Tang è un ragazzo hongkonghese di campagna che è stato mandato in Italia per aiutare il parente di un suo amico, proprietario di un ristorante cinese sul quale ha messo gli occhi una banda di malviventi. Tang, arrivato al locale, inizialmente tiene nascoste le sue abilità, ma poco tempo dopo i cattivi si fanno vivi e gli forzano la mano, scatenando una rissa in un vicolo. 
 
Il capo dei malavitosi (Jon Benn) non manda giù facilmente la reazione di Tang, e per tutta risposta ingaggia dei combattenti stranieri per metterlo fuori combattimento e impadronirsi del ristorante. Quando i primi scontri con i lottatori stranieri (Robert Wall e Hwang In-shik) non portano ad alcun risultato, viene chiamato il campione di arti marziali americano Colt (Chuck Norris) per contrastare le formidabili capacità di Tang. 
 
Per tutto il film, Lee si fa notare anche per la sua abilità dietro la macchina da presa. A parte le spettacolari arti marziali, L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente testimonia un tocco comico particolare, che aumenta la piacevolezza del film, stemperandone i momenti più cupi. Il fattore comico di Lee spazia dalla comicità fisica, come quando nelle vesti dello sfortunato campagnolo non riesce a ordinare il cibo, alle battute scaltre in stile hongkonghese, come quando Lee definisce alcune rovine romane una baraccopoli con un impressionante potenziale di riqualificazione. Dopo una serie di battaglie che costantemente alzano la posta sul fronte delle arti marziali, il pezzo forte di L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente è la resa dei conti finale, all’interno del Colosseo – una scena estremamente iconica, come il finale nella sala degli specchi del film successivo di Lee, I 3 dell’Operazione Drago (Enter the Dragon). La regia riprende Lee in una luce estremamente lusinghiera – i suoi muscoli guizzanti e i suoi agilissimi movimenti sono messi perfettamente in risalto nelle scene di riscaldamento e appaiono in contrasto con l’aspetto muscoloso di Norris. Inoltre, in questo modo, la scena viene colta dal punto di vista di un esperto, pronto a riflettere la filosofia delle arti marziali accennata nelle scene precedenti e a mostrare come combattono due campioni. Il corpo a corpo con Norris si sviluppa con cura, con i combattenti che prima si riscaldano a lungo, poi si soppesano l’un l’altro tra i primi attacchi e, alla fine, si impegnano in uno scontro feroce, ma con un certo rispetto l’uno per l’altro. 
 
L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente è stato l’unico lungometraggio che Lee ha potuto completare come regista, visto che morì esattamente sette mesi dopo l’uscita del film, lasciando incompiuto un altro progetto registico. Considerando il riuscitissimo mix di facile divertimento e azione complessa di L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente, i risultati di Lee e il suo talento naturale, sia come artista marziale che come regista, sono decisamente palesi. Un gran numero di imitatori seguirà la scia di Lee, ma ci vorranno anni prima che un altro talento di arti marziali possa convincere pienamente le masse di spettatori di Hong Kong e degli altri paesi.
Tim Youngs
FEFF: 2015
Regia: Bruce LEE
Anno: 1972
Durata: 99'
Stato: Hong Kong

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