Fist of Fury

Quando i brividi poco levigati de Il furore della Cina colpisce ancora sbancarono il botteghino, Bruce Lee e i suoi sostenitori alla Golden Harvest schiacciarono sull’acceleratore per portare il cinema d’azione a nuovi livelli.
 
La pellicola che seguì non perde tempo nella trama: pochi minuti dopo i titoli di testa, irrompe lo spettacolo delle prodezze di Lee nelle arti marziali, quando il suo personaggio, Chen Zhen, è in preda alla rabbia per la morte del suo maestro. Il film si apre con il ritorno di Chen a Shanghai, nei primi anni del Novecento. 
 
Al suo arrivo, Chen trova i suoi compagni alla scuola di arti marziali di Jingwu in lutto. Il Maestro Huo Yuanjia è morto in circostanze misteriose e, siccome nessuno gli dice apertamente cosa è successo, l’impetuoso Chen non intende lasciar correre. Ad accentuare la tensione ci pensa una scuola giapponese rivale, che fomenta gli animi mandando due combattenti e un viscido interprete (Wei Ping-ao) a portare uno striscione incorniciato con la scritta provocatoria “I Grandi Malati dell’Asia”. 
 
L’anziano della scuola Jingwu, Fan Chun-hsia (Tien Feng), ricorda al livido Chen i principi della sua scuola – allenarsi curando la forma fisica per essere forte e servire la comunità e il paese – e lo esorta a ritrovare alla calma. Ma Chen non intende ragioni: ben presto risponde al fuoco scatenando l’inferno al dojo giapponese e, dopo una rapida digressione per affrontare con un calcio volante l’ingiustizia razziale in un circolo, si nasconde, indaga sulla morte di Huo e medita vendetta. 
 
 Girato quasi interamente all’interno di elaborati set nei nuovi teatri di posa della Golden Harvest, e con le poche scene in esterni girate a Macao, Dalla Cina con furore è molto più raffinato rispetto al film precedente e fa di tutto per divertire. La trama è serrata e dinamica e le scene con Lee sono messe a punto per massimizzare la sua presenza non soltanto nei termini del suo talento fisico ma sottolineando anche le sue disinvolte capacità comiche e condividendo la sua filosofia di arti marziali. 
 
Come in Il furore della Cina colpisce ancora, c’è un filo conduttore lungo tutto il film che invita alla moderazione – ma non all’inerzia – per chi pratica arti marziali, e i temi nazionalistici aggiungono un ulteriore aspetto. La coreografia di azione è orchestrata in modo tale da offrire a Bruce Lee una vetrina esemplare. Quando Lee fa a pezzi gli sfidanti nella scuola di arti marziali rivale o i piantagrane all’interno della sede della Jingwu, l’azione è messa in scena in modo che Lee sia chiaramente al centro dell’attenzione. 
 
Lee parte subito in quarta con la sua celebre abilità con il nunchaku, abbondano le mosse rapidissime e, come in altri suoi film, Lee finisce a torso nudo per mettere maggiormente in risalto la sua fisicità e agilità. Accresce il divertimento anche un aspetto giocoso della coreografia, quando l’eroe ricorre a tutti i tipi di attacco, anche i meno ortodossi, dai pugni all’inguine fino ai morsi. Ancora una volta Lee aveva alzato la posta in gioco al botteghino e Dalla Cina con furore stabilì un nuovo record assoluto per i cinema di Hong Kong. 
 
L’autore aveva puntato subito a raggiungere risultati cinematografici ancora più ambiziosi e il grandioso successo di Dalla Cina con furore ha continuato a ispirare ulteriori film e serie televisive incentrati sul suo personaggio – come in tempi recenti Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen, con Donnie Yen come protagonista a rendere omaggio a Bruce Lee.
Tim Youngs
FEFF: 2016
Regia: LO Wei
Anno: 1972
Durata: 107'
Stato: Hong Kong

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