The Big Boss

Nel giro di pochissimo tempo, nei primi anni Settanta, una sola persona consegnò al botteghino di Hong Kong una sfilza di pezzi da novanta, ridisegnando il cinema di arti marziali di Hong Kong e dando vita a un’icona cinematografica intramontabile. Il brivido ebbe inizio nel 1971, con l’uscita in sala di Il furore della Cina colpisce ancora, che segnava il ritorno di Bruce Lee al cinema hongkonghese dopo dieci anni di lavoro negli Stati Uniti come istruttore di arti marziali e attore. Sotto la direzione del veterano regista Lo Wei, ingaggiato dallo studio Golden Harvest, l’ex divo bambino emerse in una nuova veste – un ritorno caratterizzato da riflessi rapidi, movimenti precisi e un atteggiamento sicuro che gli permetteva di passare dalla calma alla ferocia in un lampo. 
 
Lee è presentato agli spettatori come Cheng Chao-un, un bifolco che è accompagnato da uno zio in Thailandia, dove si unisce alla laboriosa comunità cinese locale e comincia a lavorare in una fabbrica di ghiaccio. Ma sul luogo di lavoro non è tutto come sembra: dopo un cambiamento di gestione, il nuovo capo copre un grosso traffico di stupefacenti, nascondendo la droga in blocchi di ghiaccio e facendo fuori ogni operaio che se ne accorge. 

Quando due dei nuovi coinquilini di Cheng spariscono dopo essere andati nell’ufficio del direttore, gli operai si attivano e Cheng rompe il suo voto di non-violenza e si schiera dalla loro parte. Per mantenerlo tranquillo lo allettano con una promozione e una dolce trappola, ma non c’è niente da fare: ben presto il giovane si prepara a incontrare il grande capo della fabbrica in persona per arrivare alla radice del problema.

Il furore della Cina colpisce ancora segna l’inizio di una lunga serie di successi per Lee e per la Golden Harvest, all’epoca una nuova casa di produzione che era riuscita a ingaggiare l’attore dopo che questi aveva rifiutato il contratto con la più affermata Shaw Brothers. Per quanto i valori di produzione siano disomogenei e la trama sia ridotta all’osso, il film fece un ottimo lavoro nell’introdurre Lee come artista marziale, strutturato com’è per attizzare il pubblico mostrando scherzosamente dei brevissimi flash delle sue forme di combattimento, prima di scatenare finalmente lo scontro finale, con tutta la sua furia e gli animaleschi ululati. Gli spettatori non avevano proprio mai visto – né sentito – niente di simile prima.

Visto oggi, insieme ai successivi film realizzati da Lee per la Golden Harvest, Il furore della Cina colpisce ancora sembra l’opera di autori che devono ancora individuare la loro strada, ma si trovano un fenomeno per le mani.  Quando entra in scena l’abilità di Lee nelle arti marziali, le riprese si fanno imprecise, piene di zoomate caotiche e di campi lunghi che rischiano di far perdere Lee in mezzo a una folla. Anche la coreografia dell’azione, accreditata a Han Ying-Chieh ma con il contributo di Lee, manca di un’eleganza commisurata al divo. È frequente, ad esempio, l’uso di mini-trampolini, caratteristico di Han, che aggiunge infiorettature acrobatiche appariscenti laddove i film successivi avrebbero fatto spiccare con maggiore chiarezza gli straordinari combattimenti corpo a corpo e i colpi fulminei di Lee. 

Il pubblico, da parte sua, ha creduto ciecamente in Il furore della Cina colpisce ancora, sospingendolo al primo posto nella classifica del botteghino di Hong Kong per il 1971. La Golden Harvest, con molte più risorse a disposizione dopo l’enorme successo al box office, era pronta a partire alla grande per l’exploit successivo di Lee, il sensazionale Dalla Cina con furore.

Tim Youngs
FEFF: 2016
Regia: LO Wei
Anno: 1971
Durata: 99'
Stato: Hong Kong

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