Insieme alla sua ispirazione, l’insegnante incontra una ragazzina muta e solitaria, Ja, che spesso è bersaglio del bullismo di un gruppo di compagne di classe. In effetti Ja sa parlare, ma lo fa solo con il padre ubriacone e un misterioso ragazzo, Boy, che incontra nella foresta. Mentre la loro amicizia si va rafforzando, nel villaggio avvengono diversi eventi anomali.
Il ragazzo uccide un uomo e lo mangia. Quando viene a sapere che Ja è vittima delle prepotenze della figlia del capo del villaggio, Boy si vendica, e va finire che il capo villaggio appicca il fuoco alla foresta. Chi è questo ragazzo? Alla fine Ja scopre la verità, dalle parole del padre silenzioso, ed è molto più tragico di quanto si potesse pensare.
Ma il Maestro Preecha, nonostante i suoi tentativi di porre fine alla crudeltà del capo falliscano, alla fine utilizza la sua conoscenza del buddhismo per accompagnare i due giovani spiriti verso le loro esistenze definitive.
Spurrier ha affinato le sue capacità registiche dopo il suo primo film,
P, un ipersfruttamento senza ritegno del successo internazionale dei film di fantasmi thailandesi. In questo caso il suo talento cinematografico emerge nel campo del contrasto. In un primo momento il film sembra carico di elementi da film d’autore: un minimalismo controllato, una recitazione contenuta, luci e suoni naturali, un’accurata fotografia e nessun effetto speciale.
Dell’eccellente cast fanno parte attori di fama internazionale come i thailandesi Asanee Suwan (
Beautiful Boxer di Ekachai Uekrongtham), e Vithaya Pansringarm (
Solo Dio perdona di Nicolas Winding Refn), mentre gli abitanti del villaggio e gli scolari sono attori non professionisti.
Le parti migliori del film sono quelle in cui le splendide riprese fotografiche e gli effetti sonori creano un ambiente naturale talmente perfetto che si sentono persino il rumore del vento e il silenzio. Ma Spurrier non tralascia di ricreare il senso di tristezza e di solitudine provato dai personaggi.
Quando però arriva il momento dell’horror, il film passa immediatamente alla modalità popolare del cinema dell’orrore, intriso di violenza. Fortunatamente, il contrasto intensifica ulteriormente il terrore del pubblico e questa tecnica si sposa bene con il budget limitato e lo stile minimalista di Spurrier.
È interessante notare che The Forest contribuisce a creare una nuova grammatica cinematografica dell’horror thailandese – la tecnica della brutalità muta.
The Forest è una delle tante recenti opere mainstream thailandesi che cercano di coniugare in un solo film elementi di cinema d’essai e di cinema popolare, ma in questo caso il film testimonia una maggiore empatia per l’alchimia del cinema d’essai.