The Tag-Along non è solo l’horror taiwanese che ha incassato di più negli ultimi dieci anni: per il pubblico di casa ha un significato culturale ulteriore e più rilevante. Il film si ispira a un noto episodio avvenuto nel 1998 di cui esiste un video, nel quale appare quella che sembra essere una misteriosa ragazzina vestita di rosso, che segue un gruppo di escursionisti lungo un sentiero di montagna a Taichung, Taiwan.
In The Tag-Along l’episodio viene riproposto come un video girato col cellulare, e la ragazzina è identificata come un mosien, un demone di montagna che si dice assomigli a un bambino piccolo o a una scimmietta, e che si nutre della paura e del senso di colpa delle sue vittime.
Appoggiandosi al folklore taiwanese e a questa moderna leggenda urbana, il racconto agghiacciante e sorprendentemente emozionante di The Tag-Along prende corpo. Wei (River Huang) è un agente immobiliare che vive con la nonna (Liu Yin-shang), ma la loro vita viene sconvolta quando lei viene posseduta da un mosien e svanisce in una vicina foresta di montagna.
Mentre indaga sulla scomparsa della nonna insieme alla guardia di sicurezza del condominio (Chang Po-chou), Wei si rende conto non solo delle orribili circostanze del suo rapimento, ma anche di quanto lui l’abbia trascurata per il suo lavoro e per la fidanzata, Yi-chun (Tiffany Hsu).
Tuttavia, dato che il mosien va a caccia di sensi di colpa, questa sua consapevolezza fa di lui la prossima vittima – ed è esattamente quello che succede, dopo che la nonna viene ritrovata in una strada, sola e disorientata.
Per tutto il resto del tempo, A questo punto il film si sposta sulla vera protagonista, Yi-chun, seguendola per tutto il resto del tempo mentre lei comincia a sua volta a indagare sul mosien, scoprendo un divario crescente tra lei e Wei.
Quando il mosien fa sentire maggiormente la sua presenza nella vita quotidiana di Yi-chun, quello che prova la ragazza per il modo in cui ha trattato Wei sembra condannare anche lei alla possessione – a meno che prima non faccia qualcosa per salvare Wei e riparare la frattura che si è create tra di loro.
The Tag-Along tratta efficacemente temi assolutamente universali e di forte risonanza come la famiglia, l’amore e il rimpianto, e in questo modo gli elementi horror si collocano in un contesto facilmente riconoscibile. Allo stesso tempo, la storia rivela i segreti più nascosti che rendono i personaggi quasi complici degli orrori che subiscono.
Forse involontariamente, il mosien può funzionare come una forma di karma che controbilancia i peccati di una persona.
Al di là dei temi e dei personaggi, The Tag-Along funziona anche a livello tecnico. Il regista esordiente Cheng Wei-hao crea un’atmosfera apprezzabile utilizzando colori desaturati e una bassa illuminazione, oltre a saper gestire bene la tensione. Cheng alterna con molta efficacia lo spavento sconvolgente e l’orrore opprimente e inquietante – ad esempio nel modo in cui a volte si può vedere il mosien che si muove furtivamente sullo sfondo, altre volte che sta in agguato in bella vista.
L’iconografia è ben nota – il mosien striscia paurosamente a quattro zampe indossando un vestito rosso e guardandosi intorno attraverso lunghi capelli neri – ma non è meno efficace qui che in numerosi film horror asiatici che l’hanno preceduto. Fin dai tempi di Ring, nei tardi anni Novanta, il genere horror asiatico ha registrato una serie di alti e bassi; se The Tag-Along un giorno verrà considerato un classico è tutto da vedere ma, senza ombra di dubbio, può essere definito ossessionante.