Seung-hoon (Cho Jin-woong, The Handmaiden) è un medico che lavora in una clinica di successo in una città rurale dallo sviluppo recente. Tranquillo, amante della lettura e un po’ nevrotico, è reduce da un divorzio recente e vive in affitto in un piccolo appartamento proprio sopra la macelleria del quartiere, gestita da un tipo decisamente losco, Sung-geun (Kim Dae-myung, Pandora). Un giorno, Seung-hoon esegue una colonscopia sul nonno mezzo rimbambito del macellaio (Shin Goo, The Foul King), e sente il vecchio in stato di semi-incoscienza borbottare qualcosa riguardo allo smembramento di un corpo umano. Ben presto, quando il ghiaccio sul fiume Han inizia a sciogliersi, viene rinvenuto un corpo femminile decapitato. Seung-hoon diventa sempre più nervoso, sospettando che il suo vecchio paziente e il nipote Sung-geun siano una coppia di Barbablù che hanno assassinato le rispettive mogli e macellato i loro corpi come quarti di bue.
Bluebeard, il cui titolo coreano è “Disgelo” – una metafora più adatta al processo che riguarda lo strano mistero del film –, segna il ritorno, dopo una pausa di quattordici anni, della regista Lee Soo-youn, il cui film d’esordio The Uninvited rappresenta uno dei film horror coreani più paurosi del nuovo millennio. Il tocco personale di Lee è facilmente individuabile anche in Bluebeard: attraverso l’obiettivo del direttore della fotografia Uhm Hye-jeong (una delle poche donne a fare questo mestiere nel panorama cinematografico sudcoreano) e le luci di Jeong Hae-ji, assistiamo all’acuta osservazione dell’ambiente urbano moderno punteggiata da alcune visioni surreali e raccapriccianti come quella del mattatoio zuppo di sangue, viscidi primi piani degli organi interni del corpo e un busto decapitato che freme mentre i frammenti di ghiaccio che lo avvolgono si sciolgono poco a poco. C’è anche, nei personaggi principali, una certa essenza patologica, che esplode nella violenza dovuta a desideri o sensi di colpa a lungo repressi; saltuari flashback e altri trucchi del montaggio che giocano con la percezione della realtà da parte dello spettatore; il tutto abilmente supportato da una colonna sonora minimalista e discreta (di Jeong Yong-jin, il compositore preferito di Hong Sang-soo).
Felicemente, Lee non ha perso un grammo della sua sensibilità di regista di thriller: Bluebeard conserva il suo interesse di giallo intrigante anche quando ci accorgiamo di alcuni importanti buchi nel percorso narrativo. Per The Uninvited, la regista era riuscita a ottenere da Jun Ji-hyun (Gianna Jun) una delle sue interpretazioni migliori degli ultimi tempi, e non delude nemmeno con Cho Jin-woong o Kim Dae-myung. Cho può recitare in modo esagerato e volutamente gigionesco (A Hard Day) oppure in modo timido e borghesemente tenero (Hwayi: A Monster Boy), ma il suo Seung-hoon è un ritratto molto più complesso, smorzato e nel contempo segnato da rimorso e ostilità. Le scene emotivamente crude tra Seung-hoon e la sua ex moglie (Yoon Se-ah, Shadows in the Palace, anche lei eccellente) che tentano una riconciliazione, ne sono un perfetto esempio: di solito non si assiste a scene di simile potenza interpretativa in una sequenza in flashback in un thriller. Anche Kim Dae-myung è efficace e misurato nel ruolo del macellaio dalla faccia impassibile che non fa mai trasparire i pensieri che passano dietro quegli occhi luccicanti e sornioni, e per tutto il tempo si comporta da amichevole padrone di casa.
Forse Bluebeard è compromesso dalla sua narrazione inutilmente contorta (si sarebbero potuti tranquillamente tagliare 25 minuti di film) e dal suo finale trascinato, probabilmente inteso come commento sull’ubiquità dei sistemi di sorveglianza nella società moderna, ma che dà invece l’idea di una concessione alle convenzioni di genere. Tuttavia rappresenta un gradito ritorno al grande schermo di una regista del Nuovo Cinema Coreano dopo un lungo periodo di silenzio. Speriamo che Lee Soo-youn torni presto con un altro thriller o fantasy intrigante – o, preferibilmente, con il progetto di lunga gestazione del “mostro sirena” che sta cercando di portare a compimento da anni.
Kyu Hyun Kim