I quotidiani riempiono le pagine di cronaca nera di storie torbide che stuzzichino la morbosità dei lettori. Storie che poi vengono dimenticate per passare ad altre e poi ad altre ancora, in un susseguirsi di ritratti di vita che vengono scordati. La storia di Derailed, film di esordio di Lee Sung-tae, è una di queste. Una storia notturna di dimenticati, di angeli perduti a cui ridà dignità e un afflato quasi epico. Lontano dalla malavita, quella vera, un gruppo di quattro giovani delinquenti vive alla giornata: rubacchiano, scappano dai ristoranti senza pagare, si arrangiano. A spiccare nel gruppo sono Jin-il (la star del K-pop Choi Min-ho, presente anche in Canola) e il suo travolgente amore Ga-young (Da-eun, anch’essa star della musica col gruppo 2EYES). Quando i ragazzi fregano l’auto sbagliata, si trovano sotto il giogo del piccolo boss Hyung-seok (il grande Ma Dong-seok di Train to Busan), che per farsi ripagare fa lavorare Ga-young nel suo karaoke bar. Jin-il, disperato, farà di tutto per recuperare il denaro e riscattare la libertà della ragazza, spingendosi fino alle conseguenze più estreme. Il vero pericolo però non è Hyung-seok ma un nemico dei ragazzi che viene dal passato.
Una storia di malavita lontana dai soldi, quelli veri, e dai riflettori. Qua le luci sono quelle dei neon dei piccoli e squallidi ristoranti, dei minimarket aperti tutta la notte e i soldi sono quelli per la sopravvivenza, non per la scalata al successo. Così rubare un motorino o una macchina vuol dire aver un posto per dormire, un pasto, una pausa dalle continue fughe. Sono anime nere ma ad annerirle è stata la vita, la morte dei genitori oppure una madre che non si preoccupa neanche quando la figlia è in mano ad un gangster. In questo terreno non potevano che germogliare piante marce per cui la violenza sembra essere l’unico modo di comunicare. E la violenza è esibita, non spettacolarizzata ma realistica, non estrema ma ripresa senza mezzi termini. In questo contesto dove i giovani sono come cani incattiviti perché alla catena, anche il piccolo boss Hyung-seok diventa una figura protettiva, il depositario di una serie di valori, che seppur deviati, rappresentano dei punti fissi. Ne deriva un rapporto tra boss e protagonista non del tutto risolto, quasi paterno.
L’esordiente Lee Sung-tae dimostra di saper creare dei personaggi, dargli un’anima e fargli vivere le proprie storie con notevole intensità standogli vicino, seguendoli con la macchina presa. Uno stile asciutto, senza superflue calligrafie, che va al sodo, cosa assai rara in un’opera prima. Quello che Lee Sung-tae ha da dimostrare lo fa con i volti dei protagonisti, volti da popstar a cui difficilmente metteresti la maschera del criminale ma che invece risultano disperatamente credibili, tra lampi di rabbia e momenti di vacuità. Solo la mappa dei loro lividi ci ricorda che la loro vita è fatta di violenza e che porta verso il nulla. Sarebbero lucciole destinate a spegnersi nel buio se non fosse per l’amore che si rivela motore del film e che, anche se disperato e offeso, si può scoprire forza salvifica. Violenza, dramma, amore e passione alla fine non sono che una deviazione. Deragliamento: uscita dalle rotaie, sviamento, deviamento.
Luca Censabella