Nei primi anni dopo il passaggio di Hong Kong alla Cina, Wilson Yip ha raccolto ampi consensi con commedie leggere e drammi polizieschi, le cui espressioni più alte sono film come Bullets Over Summer (1999) e Juliet in Love (2000). La sua reputazione è cambiata nel 2005, quando Yip ha fatto squadra con l’attore e coreografo di arti marziali Donnie Yen per passare all’azione a tutto campo con SPL, al quale sono seguiti in breve tempo Dragon Tiger Gate (2006) e Flash Point (2007), sempre in tandem. Ma solo nel 2008 Yip e Yen hanno realizzato una vera pietra miliare del cinema hongkonghese con Ip Man.
Questo biopic d’azione racconta la storia dei primi anni di Ip Man (o Yip Man), il celebre maestro di kung fu al quale si deve la diffusione della scuola di arti marziali del wing chun prima della sua morte avvenuta nel 1972. Quando Yip e Yen si sono interessati al progetto, Ip era noto soprattutto per la sua attività di insegnamento nel dopoguerra a Hong Kong, dove il suo più celebre allievo di wing chun, negli anni Cinquanta, fu l’adolescente Bruce Lee.
All’inizio del film Ip (Yen) ci viene presentato come un maestro di arti marziali benestante che vive a Foshan, sua città natale, nella Cina meridionale. Le sue abilità emergono subito, durante un incontro amichevole con uno sfidante del posto. Un altro combattimento contro un avversario attaccabrighe del Nord (Louis Fan) mette subito in chiaro che in città è Ip l’uomo da sconfiggere e, quando il Giappone invade la Cina, lo capiscono anche le forze di occupazione. Durante la guerra è costretto a spalare carbone per sbarcare il lunario quando gli viene confiscata la casa. Ip finisce per farsi notare dal generale Miura (Ikeuchi Hiroyuki) che gli ordina di insegnare la sua arte ai giapponesi.
Il fermo rifiuto che Ip oppone a Miura è il punto più alto dell’intenso patriottismo di Ip Man, ultimo di una lunga serie di film di arti marziali che raccontano di eroi cinesi si oppongono agli aggressori stranieri. Gli autori intessono nella trama anche elementi di tipo diverso, in particolare all’inizio del film, quando Ip cerca di trovare un equilibrio tra il kung fu e la placida vita familiare, o quando insegna il wing chun al personale tiranneggiato di un cotonificio. L’aspetto meno convincente di Ip Man, tuttavia, è la sua scarsa fedeltà come film biografico, e la poca chiarezza di certi dettagli storici, che vengono trascurati o persino ignorati.
Ma visto che la maggior parte degli spettatori chiede semplicemente una dose massiccia di azione di alto profilo e una descrizione libera del protagonista, Ip Man è andato bene in sala e a livello internazionale sul mercato home video. Il segreto del successo del film è l’interpretazione misurata di Donnie Yen, più riservato e accessibile rispetto ai precedenti tre film che ha realizzato con Wilson Yip. Le mosse di wing chun sono dirette e mai appariscenti, il che crea un avvincente contrappunto quando l’eroe sfida gli accaniti avversari del Nord e i nemici giapponesi. Lo schema del torneo, che ha funzionato in tanti film sul kung fu, si insinua qui nella resa dei conti nel quartier generale giapponese e su un palcoscenico pubblico; la coreografia dell’azione, le inquadrature e il montaggio rendono i combattimenti efficaci e allo stesso tempo leggibili.
Ip Man è arrivato a vincere il premio per il miglior film agli Hong Kong Film Awards, e hanno fatto seguito due sequel in cui Yip e Yen hanno raccontato la vita di Ip a Hong Kong. Ulteriori film su Ip hanno spaziato da un prequel fino al trattamento da film d’essai di The Grandmaster di Wong Kar-wai. La stella di Yen ha brillato maggiormente sull’onda del successo dei suoi Ip Man, che di recente lo ha condotto ai grandi ruoli hollywoodiani, ma non gli ha fatto voltare le spalle al cinema di Hong Kong e alle sue interpretazioni di Ip Man: verso la fine del 2016 Yen ha annunciato che lui e Yip progettano di realizzare Ip Man 4.
Tim Youngs