Kung Fu Hustle, il film che ha portato ufficialmente Stephen Chow alla ribalta internazionale, segna la fine di una fase della sua carriera e l’inizio di un’altra. Prima di Kung Fu Hustle, Chow era conosciuto principalmente come superstar della commedia. Aveva già diretto, scritto e interpretato Shaolin Soccer (2001), ma con Kung Fu Hustle Chow si è assunto anche gli oneri della produzione e ha perfino fatto un piccolo passo indietro come protagonista, cedendo una parte di spazio sullo schermo e sotto i riflettori ai numerosi coprotagonisti. In effetti, Kung Fu Hustle sarà l’ultimo film di Chow come protagonista, perché in seguito opterà solo per un ruolo secondario in CJ7 (2008) prima di passare a tempo pieno dietro la macchina da presa per il resto della sua carriera cinematografica (ancora in corso).
In Kung Fu Hustle Stephen Chow interpreta Sing, un ladruncolo da quattro soldi nella Shanghai degli anni Trenta, bravissimo come scassinatore ma dotato di pochi altri talenti. Sing rimane coinvolto nel mondo delle arti marziali quando scatena accidentalmente una faida tra la triade numero uno di Shanghai, la Gang delle Asce, e gli abitanti di Vicolo dei Porci, un complesso abitativo fatiscente che ospita un certo numero di maestri di arti marziali sotto mentite spoglie. Per combattere i residenti di Vicolo dei Porci, in particolare gli abilissimi Signora Padrona (Yuen Qiu) e Signor Padrone (Yuen Wah), la banda delle Asce ingaggia il Diavolo (Bruce Leung), un maestro di arti marziali la cui malvagità è superiore a quello che pensano.
La figura di Sing in realtà è piuttosto irrilevante all’inizio del film e agisce più come catalizzatore, fino a quando non emerge, più avanti, con le sue abilità nel kung fu. Questa rivelazione permette a Stephen Chow di esibire il suo fisico scolpito e la sua conoscenza delle arti marziali, dovuta in parte alla sua ammirazione per Bruce Lee. Oltre a essere una commedia d’azione dal successo strepitoso, Kung Fu Hustle rappresenta la realizzazione sullo schermo di molte delle fonti di ispirazione di Stephen Chow. Il film attinge da Bruce Lee, da diversi film degli Shaw Brothers, dagli anime giapponesi, dai cartoni animati Looney Tunes della Warner Bros. e persino da Shining di Stanley Kubrick. Molti dei riferimenti sono gag visive evidenti, ma altri traspaiono dai dialoghi o da temi di fondo.
Kung Fu Hustle contiene anche dei riferimenti intertestuali agli altri film di Stephen Chow e ai suoi temi preferiti. Da una battuta iniziale, che fa riferimento a Shaolin Soccer, alla storia d’amore nel film tra Sing e una venditrice di dolciumi muta (Eva Huang), la vita e la personalità di Chow sono onnipresenti. Basta guardare la sua filmografia per sapere quanto il rimpianto romantico conti per lui: in numerosi film di Chow egli (o il suo equivalente sullo schermo) ferisce una persona cara per poi pentirsene amaramente, e il dispiacere alimenta la sua trasformazione da uomo malvagio a buono – o da perdente amorale a virtuoso maestro di kung fu. Questi sono temi piuttosto comuni nel cinema, ma Chow li ritrae con una tale sincerità da renderli straordinariamente emozionanti.
Era atteso un sequel di Kung Fu Hustle, ma ormai sono passati tredici anni e Stephen Chow è occupato a conquistare la Cina continentale con i film da lui scritti e diretti. Titoli come Journey to the West: Conquering the Demons (2013) e The Mermaid (2016) sono sempre in cima alle classifiche dei botteghini, a dimostrazione che il pubblico va ancora a vedere i suoi film, anche se lui non vi recita più. Ma anche se non lo si vede più sul grande schermo, Stephen Chow è ben presente e rappresentato in ogni suo aspetto, in particolare la sua sensibilità da cartone animato, il buffo senso dell’umorismo, la sua incrollabile ossessione per il rimpianto romantico. Qualunque cosa abbia fatto Chow in Kung Fu Hustle per farlo funzionare così bene, funziona ancora oggi e girare un sequel sarebbe in gran parte inutile. Se accadesse, però, infrangerebbe ogni record al botteghino.
Ross Chen (www.lovehkfilm.com)