Il cinema facile per famiglie è all’ordine del giorno per Kung Fu Yoga, l’ultima collaborazione in tema di film azione tra Jackie Chan e lo sceneggiatore e regista Stanley Tong – una squadra che tra i suoi successi passati annovera Police Story 3: Super Cop e Terremoto nel Bronx. Chan interpreta l’eminente archeologo cinese Jack, che viene consultato per un caso relativo al passaggio transfrontaliero illegale di importanti manufatti antichi. Un giorno Jack riceve la visita del dr. Ashmita (Disha Patani) dal Rajasthan, il quale è in possesso di una mappa con le indicazioni per trovare il tesoro del Magadha (una grande quantità di oggetti preziosi), legato alle scene di guerra animate che aprono il film. Jack accetta di mettersi in gioco e, con l’aiuto del giovane esploratore Jones (Aarif Lee), parte per il Tibet con il dr. Ashmita e vari assistenti.
Il tesoro, che risale a 1300 anni fa, viene trovato ben presto in una caverna di ghiaccio, ma salta fuori anche un’orda di cattivi guidati da Randall (Sonu Sood), un riccone che sostiene di avere un legame familiare con i gioielli e l’oro del Magadha. Dopo un feroce combattimento nella grotta, Jack e il dr. Ashmita finiscono a mani vuote. Ma quando poi uno dei gioielli, un diamante viola da 212 carati, va all’asta a Dubai, i due si avventurano lungo una strada che li porta in Medio Oriente e poi in India nel tentativo di recuperare il tesoro trafugato.
Kung Fu Yoga è una specie di sequel di The Myth, il film precedente di Tong e Chan in cui quest’ultimo interpreta sempre l’archeologo Jack, in viaggio in India; ma si butta a capofitto nell’avventura più spudoratamente demenziale. Il percorso è quindi costellato di luoghi comuni (come l’incantatore di serpenti indiano) e riferimenti cinematografici evidenti (I predatori dell’arca perduta, Bollywood), mentre la sceneggiatura è tutt’altro che acuta e raffinata. Kung Fu Yoga però compensa facilmente con scene d’azione frenetiche, una comicità sciolta e uno spirito gioioso alla “tutto fa brodo”.
La prima grande scena di combattimento si svolge nel più classico stile Tong-Chan, in un ampio set costruito appositamente e arredato con gli oggetti di scena utili al caso. Più avanti, una sequenza di inseguimento in auto a Dubai permette ai cineasti di sbizzarrirsi con supercar, scontri e persino con un leone sul sedile posteriore, per un giro da brivido deliziosamente assurdo. La scena nel maniero indiano di Randall prende una piega divertente quando un cortile pieno di iene è teatro di un’altra sequenza di azione. Stranamente, di yoga ce n’è pochino – se ne vedono alcuni movimenti all’inizio del film e, in seguito, come pretesto per spiegare l’oltraggiosa “tecnica fetale per trattenere il respiro” durante una grandiosa fuga. A chiudere il tutto c’è una coloratissima sequenza musicale in stile Bollywood: un finale vivace, in linea con l’atmosfera rilassante e spigliata di Kung Fu Yoga.
A sessant’anni suonati, Jackie Chan dimostra in Kung Fu Yoga di avere ancora voglia di azione in grande stile, anche se altri, come Aarif Lee, si accollano un bel po’ dei lavori pesanti nelle scene di combattimento. L’amabile personaggio comico del divo è comunque in bella vista per tutto il film, aumentando abilmente il potenziale del film come calamita per il pubblico. Lo sforzo profuso ha dato ottimi risultati all’inizio di quest’anno, quando Kung Fu Yoga ha trionfato al botteghino nella Cina continentale: pur competendo con opera più compiute tecnicamente, la nuova bomba dello spettacolo d’evasione di Tong e Chan ha conquistato il primo posto durante l’affollata stagione cinematografica del Capodanno cinese.
Tim Youngs