Mifune Toshiro è stato la più importante star internazione del cinema giapponese del secondo dopoguerra (o, perlomeno, la star umana, visto che Godzilla ha sicuramente brillato più di lui). Dopo aver raggiunto la celebrità interpretando un indomito samurai nei film di Kurosawa Akira, tra cui I sette samurai (1954) e La sfida del samurai (1961), Mifune è apparso sul grande schermo insieme a nomi come Alain Delon, Lee Marvin e John Belushi in film che non avranno eguagliato i capolavori di Kurosawa, ma hanno consolidato la sua immagine nell’immaginario mondiale. Il suo sguardo infuocato, il suo passo sicuro e la sua impetuosa audacia sono diventati immediatamente riconoscibili per milioni di persone, comprese quelle con una conoscenza praticamente nulla di tutto quel che è giapponese. Per loro Mifune era il Giappone.
Quanto tempo sembra trascorso! Mifune ci ha lasciato nel 1997, ma il suo ultimo film con Kurosawa, Barbarossa, è uscito in sala nel 1965, oltre mezzo secolo fa. Intere generazioni, giapponesi e non, sono cresciute con una conoscenza dell’attore e della sua opera debolissima, se non addirittura inesistente.
Per questo Mifune: The Last Samurai, il documentario del regista nippoamericano Steven Okazaki incentrato sui sedici film che Mifune interpretò per Kurosawa, inizia dalle origini, con una spiegazione del genere sui samurai che un tempo dominava il mercato cinematografico giapponese. Ma il nucleo del film, nonché il suo vero valore, risiede nelle decine di interviste che Okazaki e i suoi produttori sono stati in grado di organizzare con le persone che conobbero Mifune, accompagnate da fotografie e filmati rari, da clip e fotogrammi dei suoi film più famosi.
La storia di come Okazaki e i suoi soci sono stati in grado di produrre questo miracolo meriterebbe da sola un film, anche se è improbabile che una certa società notoriamente difficile con cui hanno avuto a che fare coopererebbe.
Anche se il film avrebbe avuto un impatto maggiore quando il suo protagonista era all’apice della celebrità, o almeno vivo per essere intervistato, i testimoni ormai anziani conservano ricordi vividi di Mifune e hanno raccontato su di lui alcune storie molto coinvolgenti.
Presentato come l’uomo “che Mifune uccise cento volte” sul grande schermo, il coreografo d’azione veterano Uni Kanzo mostra lo stile esplosivo di Mifune come spadaccino, così dissimile dalle movenze più simili a una danza che si prediligevano nell’epoca dei film chanbara (cappa e spada). Il figlio di Mifune, Shiro ricorda che dopo una cena in famiglia ad alto tasso alcolico (cosa che accadeva spesso, essendo Mifune un forte bevitore) suo padre afferrò una spada e iniziò ad agitarla. “La cosa mi spaventò”, dichiara. Come questa e altre testimonianze confermano, Mifune era lo stesso uomo irascibile sullo schermo e fuori, anche se nel privato era più incline alle corse automobilistiche e a distruggere auto da corsa che a far fuori decine di rivali con la sua rapida spada.
Il film scava anche nei capitoli più cupi della vita di Mifune, da quando durante la guerra allenava i giovani piloti kamikaze, fino alla sua aspra rottura con Kurosawa dopo le difficili riprese di Barbarossa, durate due anni. Uno dei motivi furono i problemi finanziari di Mifune, che non potendo accettare altri lavori fino alla fine delle riprese vide la propria società di produzione andare in rosso. Un’altra ragione fu il desiderio di Kurosawa di esplorare nuovi soggetti e abbandonare il mondo dei samurai, per il quale Mifune era fondamentale. Ma in definitiva, dice l’ex supervisore alla sceneggiatura di Kurosawa, Nogami Teruyo, “è difficile capire perché” il più famoso sodalizio del cinema giapponese sia finito. Così, anche se Mifune non fa luce su tutti i misteri riguardo al suo soggetto (ed è improbabile, ora, che qualcun altro riesca a farlo), ci fornisce però degli squarci affascinanti sulla sua personalità, la sua epoca, la sua arte, e su molte persone talentuose che lo circondavano.
Mark Schilling