Il film verrà proiettato solo per gli accreditati e con sottotitoli in lingua inglese.
Per Hollywood, “futuro distopico” di solito significa invasioni aliene, tecnologia esotica ed esplosioni gigantesche. Il film di Yaguchi Shinobu Survival Family propone invece un’alternativa più terrena come causa del collasso della civiltà: la rete elettrica giapponese improvvisamente va in corto circuito, come un laptop sul quale sia caduto del caffè bollente. Lo schermo dei televisori si spegne, gli smartphone rimangono muti e la connessione internet sparisce. Segue il caos.
Impossibile da immaginare, vero? Ma neanche tanto, se vi foste trovati in prossimità della regione giapponese di Tohoku l’11 marzo 2011, quando fu colpita da terremoti e tsunami e, subito dopo, dalla centrale nucleare danneggiata di Fukushima Daiichi iniziarono a fuoriuscire radiazioni mortali.
A Tokyo si ebbe solo un vago sentore di tale apocalisse quando i treni si fermarono, il carburante cominciò a scarseggiare e gli scaffali dei supermercati si svuotarono. Le cose tornarono presto alla normalità, più o meno, ma sorsero molti dubbi sulla stabilità dell’ordine sociale – dubbi che Yaguchi porta alla luce in modo plausibile, buffo e spaventoso insieme, sulla base della sua sceneggiatura originale.
Il cineasta, navigato realizzatore di commedie come Waterboys, il suo grandissimo successo di botteghino del 2001, ottiene le risate scontate dal ginepraio in cui si caccia la famiglia protagonista, i Suzuki. Il Papà (Kohinata Fumiyo) è un impiegato eccessivamente zelante che, rispedito a casa dall’ufficio dopo un eroico (almeno secondo lui) tentativo di fare il suo dovere, lavora diligentemente e ridicolmente a lume di candela. Intanto, la coraggiosa Mamma (Fukatsu Eri), casalinga a tempo pieno, cerca di mantenere una parvenza di normalità, facendo pazientemente la coda alla cassa del supermercato mentre cassiere oberate fanno freneticamente i conti su pallottolieri che sembrano appena sottratti da un museo.
Ben presto, però, la situazione comincia a farsi più seria, quando i Suzuki e i loro vicini si rendono conto che la corrente elettrica non ritornerà per un bel po’ e che le scorte stanno per finire. All’inizio tutti cercano goffamente di unirsi per fronteggiare la crisi, ma ben presto una famiglia dopo l’altra fa la sua fuga silenziosa e imbarazzata. Mentre Tokyo piomba nell’anarchia, i membri della famiglia Suzuki –Papà, Mamma, la figlia Yui (Aoi Wakana) e il figlio Kenji (Izumisawa Yuki) – si uniscono all’esodo utilizzando le loro biciclette per pedalare in direzione di Kagoshima, dove l’anziano padre della Mamma (Emoto Akira) fa l’agricoltore.
Come Robinson Crusoe, Il Robinson svizzero e altri classici sulla sopravvivenza, Survival Family illustra quanto sia moralmente e spiritualmente vantaggioso darsi da fare per non morire di fame. Kenji e Yui all’inizio del film sono i tipici adolescenti delle città di oggi (Yui che sta incollata allo smartphone, Kenji alle cuffie) ma via via che trascorrono i giorni e le loro possibilità diventano sempre più limitate (a cena, cibo per gatti o niente) diventano più ingegnosi e, non a caso, più simpatici. E tutti e quattro i Suzuki, che prima quasi non interagivano come famiglia, si avvicinano gli uni agli altri in maniera commovente.
Questo tipo di narrazione ottimistica è stata spesso la chiave di Yaguchi per arrivare al successo di botteghino, ma Survival Family è più realistico di gran parte della sua produzione precedente, a tratti in maniera davvero decisa, malgrado il senso dell’umorismo del cineasta, pur sconfinando nella cupezza, non lo abbandoni mai.
Gli interpreti della famiglia del film sono ben scelti, ma è soprattutto Kohinata, un attore esperto e abituato in egual misura alla commedia e al dramma, a farsi notare nel ruolo del capofamiglia, le cui metamorfosi, da insopportabile maniaco ossessivo a patetico perdente e, infine, a essere umano dignitoso, sono allo stesso tempo fluide ed esilaranti.
Più che per la sua comicità, tuttavia, Survival Family è apprezzabile per le sue lezioni oggettive su come andare avanti anche attraverso le sconfitte. E dal momento che siamo in Giappone, queste lezioni vertono su come trovare piante selvatiche commestibili e accendere un fuoco per cucinare, nulla a che vedere con i massacri e i saccheggi alla Mad Max.
Il film è esageratamente ottimista? Forse, ma se pensiamo alle migliaia di pendolari di Tokyo che, la notte del terremoto del 2011, tornarono a casa a piedi imperturbabili e tranquilli, forse no. Il Giappone avrà anche i suoi difetti, ma il caos violento sull’onda di un disastro non è certo fra quelli.