Lo strepitoso successo al botteghino di A Violent Prosecutor, all’inizio del 2016, la dice lunga sul potenziale drammatico dei film sul carcere. Un anno più tardi, The Prison ha fatto un’altra incursione nel genere che sembra aver dato ottimi risultati. L’esordio alla regia dello sceneggiatore di lungo corso Na Hyun è più cupo e più claustrofobico rispetto a molti suoi predecessori, e la maniera dettagliata in cui rivela le intricate strutture del potere all’interno di un famigerato carcere di massima sicurezza garantisce uno spettacolo avvincente. Il pubblico generale, poi, ha risposto bene e ha trasformato il film in un successo di proporzioni decorose.
In un breve prologo assistiamo al perpetrarsi di un insolito crimine. Il direttore finanziario di una grossa società conglomerata, sospettato di evasione fiscale, si trova in una camera d’albergo il giorno prima di essere convocato dal pubblico ministero. In quel momento un gruppo di uomini fa irruzione nella stanza, lo immobilizza e gli inietta una dose letale di droga. Facendo attenzione a non lasciare impronte digitali o altre tracce del loro passaggio, fanno in modo che l’omicidio sembri una morte accidentale per overdose. Ma è quello che accade immediatamente dopo a sorprenderci: gli uomini risalgono sulla loro auto, ripartono e guidano fino ai cancelli di un carcere. Una volta dentro, indossano di nuovo le loro uniformi di detenuti e poi rientrano nelle rispettive celle. Un crimine perfetto, al quale è praticamente impossibile risalire: se anche qualcuno volesse dar la caccia ai colpevoli, questi si trovano già in prigione.
Una simile operazione non può essere stata orchestrata da una persona qualunque, e infatti all’interno del carcere c’è un uomo con un potere e con degli agganci straordinari. Jung Ik-ho (Han Suk-kyu, The Royal Tailor) è un detenuto di lungo corso che non solo esercita un controllo assoluto sul carcere nel quale si trova ma che, attraverso un mix di tangenti e intimidazioni, mantiene una vasta rete criminale nel mondo esterno. E, avendo in pugno il direttore della prigione, è in grado di fare praticamente tutto quello che vuole; in qualche modo essere in carcere rappresenta per lui un vantaggio.
In questo brutale contesto arriva Yu-gon (Kim Rae-won, Gangnam Blues), un ex tenente di polizia che a un certo punto della sua carriera era famoso per la caccia senza quartiere data ai criminali. Dopo un incidente da pirata della strada, che ha cercato di coprire per mezzo di tangenti e distruzione delle prove, Yu-gon si ritrova dall’altra parte del sistema giudiziario. Al suo arrivo in carcere viene salutato con gioia da alcuni detenuti finiti dentro a causa sua, ma Yu-gon non è uno scemo e sventa facilmente i loro piani di vendetta. Quando appare chiaro che in prigione c’è un nuovo combattente particolarmente spietato, Ik-ho ne prende nota.
The Prison ha un certo numero di punti di forza che lo contraddistinguono, non da ultimo gli attori. Han Suk-kyu ha alle spalle una lunga carriera iniziata negli anni Novanta (Shiri, Christmas in August), quando era con tutta probabilità l’attore più popolare del cinema coreano. La sua esperienza si vede tutta in un ruolo come questo, dove proietta un potere minaccioso anche nelle scene dove sceglie di non farne uso. Anche Kim Rae-won è convincente nel ruolo di un uomo la cui ossessiva spinta psicologica è la sua arma più potente. Ma, più di tutto, questo film merita di essere visto per il modo in cui ritrae il contesto spaziale e sociale del carcere e per i meccanismi ben oliati con cui rivela ciò che accade quando questo sistema orchestrato in modo raffinato alla fine crolla.
Darcy Paquet