Il neo-classico di Wong Kar-wai
Hong Kong Express è diviso in due storie, ciascuna incentrata sulla vita personale di un poliziotto. L’agente 223 (Kaneshiro Takeshi) si strugge invano per una ex fidanzata, prima di incontrare una Donna Misteriosa con occhiali da sole e una parrucca bionda (Brigitte Lin). Il loro è un incontro fortuito: l’agente 223 sta cercando qualcuno che allevi la sua solitudine, mentre la Donna Misteriosa ha bisogno di una tregua dopo essere stata tradita dal suo complice. La loro storia d’amore (se così si può chiamare) non ha un vero risultato, ma la loro fugace relazione è di impatto, grazie all’incisiva attenzione per il dettaglio e per il modo singolare in cui Wong Kar-wai lavora sui personaggi.
Mentre la prima vicenda è solo un breve incontro quasi romantico, la seconda si immerge profondamente in una difficile fissazione amorosa – e l’amore ossessivo non è mai stato così incantevole. L’agente 663 (Tony Leung Chiu-wai in una pluripremiata interpretazione) entra nella vita della stravagante banconiera Faye (Faye Wong), e lei è immediatamente innamorata. Ha uno strano modo, però, di dimostrargli il suo amore: si introduce nel suo appartamento, lo pulisce, mette in ordine le sue cose e addirittura sostituisce i suoi oggetti personali usurati con articoli nuovi. Il poliziotto però non se ne accorge, impegnato com’è a rimuginare sulla sua ex, una hostess (Valerie Chow), ma alla fine si rende conto che la discreta invasione della ragazza nel suo appartamento è proprio il modo di Faye di farsi strada nel suo cuore.
Molti film hanno trame simili a
Hong Kong Express e presentano pure gli stessi personaggi (poliziotti,
femmes fatales) e temi caratteristici (il crimine, il tradimento). Ma laddove quei film si addentrano nell’oscurità, Wong Kar-wai è tutto luce e purezza. La Donna Misteriosa sarà anche una criminale, ma sotto la dura scorza ha una sua fragilità, e il lato oscuro dell’amore non entra mai in gioco. Wong è clemente verso gli individui problematici o che si struggono per amore; invece di ritrarli come dei fissati possessivi o dei falliti depressi, sono visti semplicemente come dei romanticoni sfortunati e meritevoli. Inoltre, non disturba affatto che gli attori siano tutti bellissimi, con deliziose stranezze e quel tipo di qualità divistica che manda il pubblico in delirio.
Le immagini di
Hong Kong Express, che sembrano fatte apposta per compiacere i cinefili, parlano una lingua tutta loro. Gli abiti di Brigitte Lin sembrano gridare “film noir”, mentre il taglio cortissimo di Faye Wong e la sua immagine da spirito libero ricordano la Jean Seberg di
Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard. L’elegante regia – immagini espressionistiche, camera a mano, sfocatura dei movimenti – è inebriante e onirica, e l’uso della musica pop è ispirato. Per il pubblico occidentale, è decisamente irreale vedere Faye Wong che ondeggia languidamente al ritmo di
California Dreaming dei Mamas and Papas, o che ascolta una cover in cantonese di
Dreams dei Cranberries (cantata dalla stessa Faye Wong). Hong Kong è un mix pulsante di persone e culture diverse, e Wong Kar-wai cattura l’energia e l’atmosfera cosmopolita della città come pochi film sanno fare.
In alcuni momenti
Hong Kong Express mostra i suoi anni. Lo stile caratteristico di Wong è autorevole e viene spesso copiato – in particolare, il suo uso della voce fuori campo è diventato un oggetto di parodia e una specie di salvagente nelle opere successive. Ma rimane un modo meraviglioso e incisivo per creare un personaggio. Anziché fornire una spiegazione o un commento, la voce fuori campo di Wong consente ai personaggi di rivelarsi direttamente e indirettamente. Sono persone consapevoli ma anche illuse, che corrono metaforicamente in tondo, raccontando a se stessi quello che vogliono credere mentre dimostrano con chiarezza chi sono veramente. Negazione, auto-riflessione postmoderna, alienazione esistenziale – chi abita in una grande città sa benissimo di cosa si sta parlando. Pur non essendo il più celebrato dei film di Wong Kar-wai,
Hong Kong Express è probabilmente il più amato: un film sull’amore del quale è fin troppo facile innamorarsi.
Wong Kar-wai
Wong Kar-wai (n. 1958) ha iniziato la sua carriera cinematografica negli anni Ottanta come sceneggiatore. Dopo aver scritto la sceneggiatura di
Final Victory (1987) di Patrick Tam, ha esordito alla regia con
As Tears Go By (1988), un film di gangster tradizionale ma che ha dimostrato il suo talento visuale e il romanticismo appassionato. Con
Days of Being Wild (1990), Wong è diventato il beniamino dei festival e ha proseguito con una serie di opera acclamate dalla critica, tra cui
Happy Together (1997),
In the Mood for Love (2000) e
2046 (2004). Considerato oggi tra i cineasti più influenti e apprezzati del mondo, Wong continua ad affascinare il pubblico.