Ci sono film che si distaccano dalle convenzioni e dalle formule della pratica produttiva dei propri paesi d’origine. Per più di un verso, Crossroads: One Two Jaga è un tentativo esemplare di cinema controcorrente, in un contesto sovente imbrigliato come quello della produzione di genere e mainstream della Malaysia. Non a caso, il film ha una genesi produttiva insolita, che vede l’ubiquo attore Bront Palarae (che il pubblico udinese vedrà quest’anno nell’indonesiano Satan’s Slaves di Joko Anwar e qui compare solo in un cameo sul finale) capitanare la fronda di questo coraggioso esperimento diretto e co-sceneggiato da un veterano della scena artistica underground malaysiana, Nam Ron.
Crossroads si apre con un primo piano sul volto sfigurato di un giovane agente di polizia, Hussein, sottoposto ad un pressante interrogatorio. Dopo lo stacco sui titoli di testa, siamo con un gruppo di bambini che giocano a guardie e ladri. Tra loro, il piccolo Joko, figlio di un immigrato indonesiano, Sugiman, che lavora in cantiere per il signor Sarip. Arriva il figlio di Sarip, Adi, che invita Joko ad andare con lui e ad aiutarlo nel suo lavoro. Sugiman è riluttante, anche perché deve risolvere il problema della sorella Sumiyati che vuole lasciare il suo lavoro di domestica per rientrare in Indonesia, ma alla fine acconsente. Ma di lì a poco scopriremo che il lavoro di Adi include pratiche in cui i bambini solitamente non dovrebbero essere coinvolti, come l’occultamento di cadaveri...
Crossroads ci introduce sin dalle battute iniziali in una Malaysia di guardie e ladri, dove la linea che divide le une dagli altri si assottiglia progressivamente. Siamo in una dura realtà di sfruttamenti incrociati e di corruzione quasi necessaria: cosa conta del resto il piccolo cabotaggio di un agente di polizia che arrotonda lo stipendio chiedendo il pizzo ai negozianti di quartiere a confronto del denaro che entra ed esce dalle tasche dei boss malavitosi o dei politici che giocano con la vita di chi lavora per loro? La recluta Hussein, come da copione, entra in questo status quo con l’integrità e il rigore dei neofiti. Inevitabilmente, ne uscirà ferito nel fisico e nella morale. Perché quando si cerca di seguire le regole e fare quel che dovrebbe essere giusto, ma ci si trova in un mondo alla rovescia, dove tutto funziona a dispetto e contro della legge e del buon senso, non si aggiustano le cose, le si complicano ulteriormente.
Nam Rom (che si riserva il ruolo del dignitario corrotto) dipinge una livida realtà finzionale radicata nella trucida cronaca della Malaysia di oggi: dallo sfruttamento incontrollato degli immigrati da Bangladesh e Indonesia alla tragica sorte dei rifugiati rohingya del Myanmar, dalle pratiche ordinarie di abuso d’ufficio e corruzione al grande circolo vizioso di una criminalità organizzata che vede asservite politica e forze dell’ordine. Lo sguardo della macchina da presa è impietoso, senza compromessi. Il montaggio seghettato che alterna bruscamente un segmento narrativo all’altro confonde i tasselli di un puzzle che si ricompone intorno all’ineluttabile, ma nondimeno lancinante tragedia.
A suo modo, Crossroads si inscrive sul solco di una poco frequentata, ma rilevante tendenza neorealista del cinema malese, di cui il pubblico udinese aveva colto il fiore più pregevole nell’edizione 2012, con lo struggente Songlap di Effendee Mazlan e Fariza Azlina Isahak. Lo fa in maniera certo ruvida e a tratti scomposta (pensiamo in particolare al commento musicale), anche forse per la mancanza di solide coordinate di riferimento interne alla produzione cinematografica locale che porta quindi a risolvere certi snodi, narrativi ed estetici, secondo il copione delle formule più marcatamente commerciali (certo, anche per non perdere il limitato pubblico potenziale). Ma lo sforzo è encomiabile, tanto nei termini ovvi della “denuncia” e del commento politico-sociale, quanto nella strada percorsa in termini produttivi, in un’indipendenza che ha portato a cercare il coinvolgimento di valenti talenti indonesiani (e filippini), in particolare quello del noto attore Ario Bayu, che interpreta Sugiman e che è pure produttore esecutivo del film. C’è da augurarsi che queste collaborazione e contaminazioni tra produzioni di Malaysia e Indonesia proseguano e si espandano, producendo frutti altrettanto inusitati e arrischiati.
Nam Ron
Nam Ron o Namron (nome d’arte di Shahili Abdan) è uno scrittore, sceneggiatore e attore tra i più apprezzati nella scena teatrale malaysiana. Ha esordito al cinema come attore in Lips to Lips (2000) di Amir Muhammad e ha recitato, tra gli altri, per Yasmin Ahmad in Gubra (2006) e per Dain Said in Bunohan (2012). Crossroads: One Two Jaga è il suo terzo lungometraggio come regista, dopo Gedebe (2001), che aveva adattato da un suo testo teatrale ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare e a Jalan Pintas (2011).
FILMOGRAFIA
2003 – Gedebe
2011 – Jalan Pintas
2018 – Crossroads: One Two Jaga
Paolo Bertolin