Fantasticare di acquisire improvvisamente dei superpoteri è qualcosa che solitamente accade ai ragazzini. E se invece ciò capitasse a qualcuno con i capelli che stanno ingrigendo, le giunture che scricchiolano e che sta contando i giorni che mancano alla pensione?
È questo il presupposto di Inuyahiki di Sato Shinsuke, che ha adattato per il grande schermo un fumetto bestseller di Oku Hiroya su un impiegato di mezza età, Inuyashiki Ichiro (Kinashi Noritake), che viene trasformato in un cyborg da una misteriosa luce bianca e acquista poteri incredibili.
Nello stesso istante e nello stesso luogo, la stessa cosa accade a un liceale dalla bellezza algida, Shishigami Hiro (Satoh Takeru). Dopo aver deciso di non essere più umano e quindi non più soggetto alle leggi e alla morale umane, Shishigami diventa un assassino di massa. Invece il mite e bonario Inuyashiki diventa un eroe riluttante, che salva le vite delle persone che invece Shishigami vuole cancellare. Lo scontro tra i due cyborg diventa inevitabile.
La storia di individui ordinari che si ritrovano trasformati in esseri sovrumani, nel bene o nel male, ricorda la coppia di film di Yamazaki Takashi Parasyte, altro adattamento da un manga bestseller. Persino le trasformazioni digitali da esseri umani a entità cyborg si assomigliano, come se i reparti effetti speciali di Inuyashiki e Parasyte avessero usato le stesse tavole di progettazione dei personaggi, anche se per scopi diversi.
Inoltre, le scene di trambusto familiare, con il rammollito personaggio del titolo che non riesce a farsi rispettare dalla moglie petulante né dai figli adolescenti (un maschio soggetto a bullismo a scuola e una femmina ipercritica) hanno diversi antecedenti nel cinema giapponese degli ultimi decenni. Il maschio di mezza età fortemente assillato e considerato dalla propria ingrata famiglia poco più di uno sportello bancomat è un elemento talmente fondamentale degli articoli di costume sulle riviste o della cultura popolare, che il film inizia a dare l’idea di un esempio di riproduzione di una formula consolidata.
Per fortuna, Sato, le cui scene d’azione adrenaliniche nel thriller di apocalisse zombie I Am a Hero (2016) erano per il cinema giapponese quanto di più somigliante agli sfarzosi effetti speciali hollywoodiani, non consente che il film si allontani troppo in direzione del melodramma. Invece, mette in scena scontri tra i due protagonisti che li mettono alla prova ben oltre i limiti della realtà di carne ed ossa, mentre fa salire l’asticella di scommesse emotive e pirotecnie visive fino ad altezze vertiginose.
Il finale non è lo scontato trionfo del bene sul male. Invece il ragazzo e l’impiegato si scontreranno anche nel secondo e terzo episodio della serie, sebbene risulti difficile immaginare come possano superare il primo film.
Sato Shinsuke
Dopo avere avuto successo come sceneggiatore, Sato Shinsuke (n. 1970) ha firmato il suo primo lungometraggio Love Song nel 2001. A partire da The Princess Blade, si è fatto conoscere come regista d’azione. Dopo il primo grande successo, Sand Clock (2010), Sato ha diretto Oblivion Island: Haruka and the Magic Mirror, un film d’animazione in CGI molto acclamato ma che ha deluso al botteghino, e i fortunati thriller fantascientifici Gantz (2010) e Gantz Perfect Answer (2011). Ha poi continuato a sfornare film d’azione di successo come I Am a Hero, da un manga, su degli umani che cercano di sopravvivere a un’apocalisse zombie.
FILMOGRAFIA
2001 – Love Song
2001 – The Princess Blade
2008 – Sand Clock
2011 – Gantz
2011 – Gantz Perfect Answer
2013 – Library Wars
2015 – Library Wars: The Last Mission
2016 – I Am a Hero
2016 – Death Note: Light Up the New World
2018 – Inuyashiki
Mark Schilling