My Generation

Upi, la regista più intraprendente e cool del cinema indonesiano, torna per la quinta volta sugli schermi del Far East Film di Udine con il suo film più giovane, My Generation. Dedicato alla generazione dei millennial, il suo parto più recente si profila come un tentativo di fornire ai giovani indonesiani post-2000 una commedia drammatica che replichi il tono e i topos delle commedie giovanilistiche degli anni Ottanta e Novanta. E per farlo, adotta la ricetta consolidata dell’opposizione tra giovani e istituzioni, leggi scuola e famiglia, e si adorna di un commento musicale, tra hip hop e rock, inteso a conquistare il pubblico partendo dalle gioie dell’udito.

In termini di costruzione narrativa, la ricetta è semplice: Upi compone un quartetto, due ragazzi e due ragazze, di amici del cuore, sempre assieme, ma esenti da relazioni sentimentali (sì, avete letto bene, tra i quattro non ci sono coppie, anche se in fase iniziale Upi introduce una spiritosa pista omoerotica tra i due maschi) che finiscono nei guai (sorpresa!) per via di un paio di video postati su YouTube. In tali video, divenuti virali presso i compagni di scuola, Zeke, Konji, Orly e Suki (questi i nomi dei quattro protagonisti) se la prendono con insegnanti e genitori; titoli inequivocabili dei video: “Why school and teachers suck” e “Why parents suck” (“Perché la scuola e gli insegnanti fanno schifo” e “Perché i genitori fanno schifo”). Alla vigilia delle vacanze, la punizione da parte delle affluenti famiglie è inevitabile e così, tra estenuanti ramanzine e conflitti generazionali ribollenti, i quattro sono messi “in libertà vigilata”.

Perché, in effetti, Upi ci offre uno spaccato di una specifica classe sociale: i giovani che ritrae sono urbani e benestanti, figli di professionisti affermati (anche se non veniamo a conoscenza delle professioni dei genitori, lo possiamo intuire dalle loro abitazioni e dal loro vestiario). E come tali, frequentano certo scuole private internazionali, dove la lingua di studio è l’inglese. Ecco quindi che lo slang che parlano tra loro è al 50% in inglese, mentre l’indonesiano standard è la lingua di conversazione con i genitori. Se non per il caso della madre di Orly, ossessionata dei social, eternamente intenta a farsi selfie, a chattare su Snapchat e infatuata di un giovane che potrebbe essere suo figlio; “mamma, ma sei una belieber?”, le chiede la figlia.

I paradossi e le incomprensioni nella relazione con i genitori costituiscono una colonna portante del film: il padre (interpretato da Joko Anwar, collega e grande amico di Upi) e la madre di Konji, tradizionalisti e religiosi, lo bacchettano di continuo comparando i giorni d’oggi con i loro tempi, quando etica e morale contavano davvero, i genitori di Zeke sono chiusi nel dolore di una tragedia familiare che gli imputano e la comunicazione col figlio è completamente recisa, quelli di Suki, infine, mal tollerano la sua passione per la musica e il fatto che esca sempre con “cattive compagnie”, tanto che il padre vorrebbe spedirla a completare i suoi studi a Singapore (meta inevitabile per la carriera universitaria degli indonesiani di buona famiglia).

Ma l’altro asse su cui si sviluppa il racconto è quello delle crisi “interne” all’adolescenza. Anche qui, nonostante gli update all’epoca di Facebook, siamo di fronte ad un repertorio di situazioni “classiche”: Orly vuole sovvertire le dinamiche patriarcali con un esperimento di dinamiche di genere sessuale, in cui sarà lei a sverginare un ragazzo preso a bersaglio, Konji è bloccato nelle sue relazioni sentimentali dalla spada di Damocle del giudizio morale dei suoi genitori, contrari alla promiscuità e al sesso pre-matrimoniale, Suki deve fare i conti con un bad break up con il fidanzato che la tradiva e sprofonda in una depressione emo, mentre Zeke, il più amicone e spigliato del gruppo, si aggrappa alla compagnia di amici, cercando di trovare soluzioni ai problemi degli altri, evitando di far fronte a quelli che porta dentro di sé.

Con affetto e comprensione, Upi sottolinea come le varianti contestuali della contemporaneità non hanno cambiato le dinamiche della crescita e dell’apprendistato all’età adulta, laddove la forza dell’amicizia si conferma come collante capace di tenere assieme le potenziali disgregazioni individuali. E con la consueta confezione leggera e rock ‘n’ roll, si assicura di intercettare i Konji, Zeke, Orly e Suki che affollano i multiplex di Jakarta e dintorni.

Upi

Upi Avianto è la più popolare e versatile regista del cinema commerciale indonesiano. Ha iniziato la carriera come sceneggiatrice ed è approdata alla regia nel 2004 con la commedia romantica 30 Hari Mencati Cinta. Si è poi dedicata ad un dittico rock, con Realita, Cinta dan Rock’n Roll e Radit & Jani. Il secondo, disperata storia tra amore e dipendenza dalla droga, è stato il suo primo film mostrato al FEFF. In seguito, sono stati inclusi nel programma del FEFF altri tre suoi film: l’ambizioso dramma gangsteristico The Last Wolf (Serigala Terakhir, 2009), il delirante thriller psicologico Shackled (Belenggu, 2012) e il grande successo comico My Stupid Boss (2016).

FILMOGRAFIA

2004 – 30 Hari Mencari Cinta 
2006 – Realita, Cinta dan Rock’n Roll 
2008 – Radit & Jani (2008)
2009 – Serigala Terakhir 
2010 – Red CobeX
2012 – Belenggu 
2016 – My Stupid Boss 
2017 – My Generation
Paolo Bertolin
FEFF: 2018
Regia: UPI
Anno: 2017
Durata: 106'
Stato: Indonesia

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