Ricostruire scene della vecchia Hong Kong è già abbastanza difficile nei momenti migliori; e di questi tempi aggiungere contenuti politici sensibili rende la produzione ancora più ardua. È questa la sfida che il regista Derek Chiu ha affrontato per portare sul grande schermo No. 1 Chung Ying Street, un progetto audace che gli stava particolarmente a cuore.
Questo film a basso budget è ambientato in due epoche diverse; dipinge i disordini di impronta comunista che hanno sconvolto la città nel 1967 per passare al 2019 con scene di protesta del futuro. La storia del 1967 è incentrata su Lai-wah (Fish Liew) e Chun-man (Yau Hawk-sau), due amici del villaggio di confine di Sha Tau Kok. Lei frequenta un college d’élite ed esce con amici occidentalizzati, come il ricco Chi-ho (Lo Chun-yip), mentre Chun-man va in una scuola di sinistra, favorevole a Pechino e tappezzata di slogan rivoluzionari, in cui gli insegnanti denunciano il dominio britannico. Quando si diffonde la notizia di alcuni scontri in una fabbrica, nella fazione di sinistra si crea un comitato di lotta per sostenere i diritti dei lavoratori e alimentare il sentimento antigovernativo. Vi aderiscono studenti come Chun-man. Quando quest’ultimo viene coinvolto in uno scontro micidiale e altro ancora, anche la progressista Lai-wah viene trascinata dentro.
I tre attori protagonisti riappaiono nella vicenda ambientata nel 2019, che inizia quando la giovane attivista Sze-wai (Liew) viene rilasciata dal carcere. Il suo amico Yee-hong (Yau) è un leader del movimento sociale e insieme a un altro amico (Lo) i due cercano di opporsi alla cancellazione dei terreni agricoli, operata per fare posto allo sviluppo edilizio.
I disordini del 1967 rappresentarono un capitolo buio per Hong Kong – una conseguenza nefasta della Rivoluzione Culturale che causò 51 vittime (compresi bambini uccisi dalle bombe piazzate dai comunisti) e portò a 1936 condanne. L’argomento, che a scuola viene a malapena insegnato, è ancora oggetto di polemiche e le opinioni su chi vi ha preso parte divergono. Diversi registi mainstream hanno già accennato alla rivolta, ma nessuno prima di Derek Chiu aveva mai fatto tutto il possibile per illustrare la situazione e valutarne l’eredità. Chiu coglie con precisione il modo in cui le persone si sono lasciate convincere da scuole e sindacati, o si sono fatte influenzare dai giornali pro-Pechino, e descrive perfettamente i cambiamenti nell’opinione pubblica, mentre ricrea l’immagine bizzarra degli abitanti di Hong Kong che intonano slogan comunisti, tenendo in mano ritratti di Mao e brandendo libretti rossi.
Chiu passa a una visione più ampia nelle scene relative al 2019 e si rivolge anche ai giovani attivisti di oggi, molti dei quali delusi dal fallimento della Rivoluzione degli Ombrelli, il movimento per la democrazia del 2014. Le sequenze ambientate al tempo presente fanno riferimento ai cambiamenti politici del passato originati dalle proteste genuine del 1967, e trasmettono con forza il messaggio che, anche se l’azione di protesta sembra futile, può sempre produrre del bene. Sul piano negativo, si può osservare che in alcune parti il dramma ambientato nel 2019 può apparire trito, in paragone col rimarchevole materiale precedente.
Chiu ha iniziato a dedicarsi al progetto nel 2010 e ha svolto ricerche approfondite ma il lavoro è stato rallentato dalla difficoltà di trovare investitori e attori che accettassero materiale politicamente rischioso – nonostante l’approccio moderato della sceneggiatura, che crea un parallelo tra i giovani protestatari delle due epoche e che evita argomenti troppo spinosi nelle scene del 2019. Alla fine, i giovani e promettenti divi Fish Liew e Yau Hawk Sau, insieme ad altri attori meno noti, hanno dato il loro sostegno al film. Rigidi vincoli di budget hanno poi richiesto soluzioni alternative per le riprese. Mentre i cineasti con ampie risorse vanno lontano dalla modernissima Hong Kong per allestire set storici in enormi teatri di posa e in altre location, Chiu ha fatto buon uso di primi piani e del bianco e nero per compensare sul piano visuale.
La prossima sfida è riuscire a trovare un distributore a Hong Kong per No. 1 Chung Ying Street, visto che i cinema tendono a evitare le patate bollenti, specialmente dopo le polemiche sorte intorno a Ten Years (2015). Il Gran Premio per il miglior film vinto all’Osaka Asian Film Festival in marzo e la partecipazione a ulteriori festival dovrebbero contribuire a suscitare interesse, ma non è ancora chiaro in che modo il gesto d’amore di Chiu troverà il sostegno che merita in patria.
Derek Chiu
Nato a Hong Kong nel 1961, Derek Chiu Sung-kee ha studiato lingue e letterature straniere all’Università Nazionale di Taiwan. Una volta tornato a Hong Kong ha lavorato nella televisione, prima come assistente di produzione e poi come regista. Al suo primo film, Pink Bomb (1992) hanno fatto seguito titoli come l’acclamato poliziesco The Log (1996) e un terzetto di film per la società di produzione Milkyway Image. Negli anni Duemila Chiu si è rivolto come regista sia al mercato di Hong Kong sia a quello della Cina continentale; ha prodotto l’acclamato Mad World (2016) e In Your Dreams (2017), diretti da giovani esordienti; ed è diventato ricercatore presso la School of Creative Media della City University di Hong Kong.
FILMOGRAFIA
1993 – Pink Bomb
1996 – The Log
1997 – Final Justice
1999 – Sealed with a Kiss
2000 – Comeuppance
2001 – Love au Zen
2007 – Brothers
2010 – The Road Less Traveled
2011 – 72 Martyrs
2018 – No. 1 Chung Ying Street
Tim Youngs