ITALIAN PREMIERE
Satan’s Slaves: Communion
t.l. Gli schiavi di Satana - Comunione
Indonesia, 2022, 120’, Indonesian
Directed by: Joko Anwar
Screenplay: Joko Anwar
Photography (color): Ical Tanjung
Editing: Dinda Amanda
Art Direction: Allan Triyana Sebastian
Music: Bembi Gusti, Tony Merle, Aghi Narottama
Producers: Tia Hasibuan, Gope T. Samtani
Executive Producers: Priya N. Keswani, Bismarka Kurniawan, Wicky V. Olindo, Sunil Samtani
Cast: Tara Basro, Endy Arfian, Nasar Annuz, Bront Palarae
Date of First Release in Territory: August 4th, 2022
L’horror indonesiano è andato alla grande negli ultimi anni, con film del calibro di The Queen of Black Magic, Impetigore e May the Devil Take You che hanno conquistato gli amanti del genere nel mondo intero. In quasi tutte queste produzioni c’è lo zampino del magnate dell’horror Joko Anwar, il cui Satan’s Slaves del 2017 si è rivelato uno dei più grandi successi del genere: si trattava di una rivisitazione piuttosto libera dell’omonimo film di culto del 1980. Ora Anwar torna col seguito Satan’s Slaves: Communion. Il sequel, che in Occidente è disponibile in streaming sulla piattaforma Shudder, è stato un enorme successo in Indonesia, oltre ad essere il primo film locale distribuito anche in formato IMAX, e attualmente figura al terzo posto nella classifica dei film indonesiani di maggiore incasso di sempre.
Communion è ambientato nel 1984, alcuni anni dopo gli eventi narrati in Satan’s Slaves. I membri sopravvissuti della famiglia Suwono vivono ora a Jakarta in un enorme condominio di cemento, dove il padre Bahri (Bront Palarae) crede che saranno al sicuro perché circondati da altre persone. Ovviamente si sbaglia, e ben presto la figlia Rini (Tara Basro) e i figli Toni (Endy Arfian) e Bondi (Nasar Annuz) iniziano a sospettare che stia per accadere qualcosa di sinistro, tra gli strani avvenimenti che si verificano e il ritrovamento di tombe nelle vicinanze. Dopo un tragico incidente, una violenta tempesta provoca un blackout nell’edificio e la famiglia Suwono e gli altri abitanti del palazzo si ritrovano assaliti dal male, con demoni e non-morti che si aggirano nei corridoi.
In Satan’s Slaves: Communion, Joko Anwar ha seguito alla lettera il principio del “più ce n’è e meglio è”, sostituendo l’ambientazione rurale del primo film con un imponente blocco di cemento, esso stesso un luogo mostruoso e piuttosto terrificante. Anche se ci vuole un po’ prima che inizi l’orrore, una volta che le luci si spengono, il film consiste fondamentalmente in una serie di scene soprannaturali, e la maggior parte di esse colpisce nel segno; Anwar si destreggia abilmente tra brividi suggestivi e gustosi spaventi improvvisi. Anche se non c’è un gran spargimento di sangue, il trucco degli zombie è piacevolmente inquietante e il film sfrutta al meglio personaggi intrappolati insieme a cadaveri che inevitabilmente iniziano a tornare in vita. Anwar fa un buon lavoro nel continuare la storia della famiglia Suwono e nel costruire una mitologia di base. Non anticipiamo nulla dicendo che le cose sono chiaramente predisposte per una continuazione seriale.
Tutto questo va benissimo, anche se il rovescio della medaglia significa che chiunque non abbia visto o non ricordi l’originale Satan’s Slaves probabilmente avrà difficoltà con la trama, poiché molti elementi si ricollegano al primo episodio, soprattutto nel finale, pieno di rivelazioni e spiegazioni. Nel suo insieme il film è piuttosto denso; oltre alla famiglia Suwono, Anwar inserisce un ampio cast di nuovi personaggi, non tutti particolarmente ben sviluppati, e le cose diventano un po’ confuse in alcuni punti per gli spettatori che non vogliono limitarsi a staccare la spina e godersi il brivido. Con due ore di durata, al film non avrebbe fatto male un po’ di rifinitura, ed è decisamente al suo meglio nelle sequenze più forti piuttosto che nelle pause tra di esse. Ad ogni modo, Satan’s Slaves: Communion è un sequel di tutto rispetto, e dopo un minimo di ripasso del suo predecessore, la trama contorta non dovrebbe rappresentare un grosso problema per chiunque sia alla ricerca di un’altra dose di horror indonesiano. Joko Anwar dà davvero il meglio quando è alle prese con l’azione soprannaturale, e quando il film trova il suo giusto ritmo è senza dubbio uno dei migliori film di genere dell’Asia di quest’anno.
Con Satan’s Slaves (Pengabdi Setan), Joko Anwar ha conseguito il più grande successo della sua carriera. Con oltre quattro milioni di biglietti venduti, Satan’s Slaves è infatti il film indonesiano di maggior successo del 2017. Ma questo remake dell’omonimo horror del 1982 diretto da Sisworo Gautama Putra, ha anche siglato una svolta fondamentale nel cinema indonesiano recente, aprendo la strada ad un solido ritorno del genere horror (in crisi creativa e di incassi da qualche anno) e a rinnovate prospettive di esportazione del prodotto locale, nel Sud Est asiatico e oltre.
Si tratta di un progetto che Anwar inseguiva da tempo. Fortunatamente, dopo i consensi internazionali raccolti dal precedente A Copy of My Mind (2015), ha ricevuto il via libera dalla Rapi Films, che aveva già prodotto l’originale, descritto come l’horror indonesiano più terrificante di sempre, e a sua volta rielaborazione di Phantasm (1979) di Don Coscarelli. Da par suo, Anwar non si è accontentato di un pigro copia e incolla, ma si è adoperato ad una riscrittura del materiale d’origine che ne ha ampliato e reso più ricca la portata narrativa.
Innanzi tutto, mentre nell’originale la famiglia vittima degli attacchi di diaboliche presenze dall’oltretomba era composta solo da padre, figlia e figlio, più giardiniere, nella versione 2017 abbiamo ben quattro fratelli, una femmina e tre maschi, di cui l’ultimo è sordo e parzialmente muto. I quattro sono di età diverse e il perché sarà importante scoprirlo nello sviluppo del film. E poi, c’è anche una nonna su sedia a rotelle e la povera madre moribonda che, nella pellicola originale, era protagonista suo malgrado del funerale nell’incipit. A quest’ultima, Anwar dedica invece un bellissimo capitolo iniziale che introduce gli elementi di terrore in maniera graduale, in particolare attraverso l’uso dei suoni, le vecchie canzoni della madre cantante e, soprattutto, il campanello con cui la malata chiama i familiari al suo capezzale.
C’è poi anche la scelta ficcante della location. Se nell’originale, i ricchi protagonisti vivevano in una confortevole villa, Joko Anwar li trasloca in una magione isolata nei boschi a dirimpetto di un cimitero. E come se non bastasse, all’interno di questa baita c’è un pozzo da cui approvvigionarsi d’acqua o scivolare improvvidamente qualora spinti da forze nefaste. L’assurdo, poi, è che il padre, a causa di dissesti economici, vorrebbe vendere la casa e che la famiglia vorrebbe pure lasciarla. Ma come da copione, tutto si oppone alla tranquilla fuoriuscita da tali ambienti malsani.
E laddove l’originale suscita sovente ilarità, sebbene non sia sempre chiaro se intenzionalmente, il correttivo ironico è ben presente nell’adattamento di Joko Anwar (anche a costo di qualche anacronismo: si pensi alla battuta sulle videocamere nella cassa da morto in una storia che si vuole ambientata nel 1981). In tal senso, è doveroso segnalare, senza tema di spoiler, il riposizionamento radicale del personaggio del predicatore islamico, la cui funzione narrativa principale nell’originale viene qui assegnata al personaggio di Budiman, amico di vecchia data della nonna, e investigatore dell’occulto e del satanismo.
Sebbene poi Joko Anwar abbia espunto il personaggio della governante Darminah e la scena dell’esorcismo condotto da un dukun (lo sciamano tradizionale in Indonesia e Malaysia), si noti che nel finale la prima compare in sembianze giovanili (anche se fosse solo un’omonima, il riferimento è chiaro), mentre il compagno di quest’ultima si chiama Batara, come la divinità invocata dal dukun per scacciare i demoni dalla casa.
Qualità della scrittura e complessità della reinvenzione a parte, Satan’s Slaves si distingue anche per una cura della messa in scena, dell’illuminazione e delle scenografie che lo collocano ad un livello altissimo per le produzioni di terrore, non solo in Indonesia. E basterebbe segnalare giusto l’utilizzo fenomenale che Joko Anwar fa di lenzuola e drappi bianchi in un paio di scene immaginifiche (entrambe non presenti nell’originale) per comprendere quanto talento intriso di cinefilia ha dato forma a questo mirabolante successo. E ci auguriamo di cuore che il trionfo di Satan’s Slaves offra ad Anwar le risorse per continuare a creare cinema con inventiva a briglia sciolta.
Joko Anwar
Nato nel 1976, Joko Anwar ha firmato il suo esordio cinematografico dirigendo il cortometraggio Joni Be Brave (2003) e scrivendo la sceneggiatura di Arisan! (2003) di Nia di Nata. Ha quindi diretto il suo primo lungometraggio Joni’s Promise nel 2005. Dopo aver completato il suo secondo lungometraggio, Kala (2007), ha scritto la sceneggiatura del grande successo Quickie Express (2007), presentato in prima internazionale al FEFF di Udine. Ha poi collaborato con Mouly Surya su Fiksi (2008) e ha diretto Forbidden Door (2009), entrambi presentati al FEFF. Dopo Modus Anomali (2012) e A Copy of My Mind (2015), presentato al Festival di Venezia, ha conosciuto il più grande successo commerciale della sua carriera con Satan’s Slaves.
FILMOGRAFIA
2005 – Joni’s Promise
2007 – Kala
2009 – The Forbidden Door
2012 – Modus Anomali
2015 – A Copy of My Mind
2017 – Satan’s Slaves
2019 – Gundala
2019 – Impetigore
2022 – Satan’s Slaves: Communion