Uno dei film evento in Indonesia nel 2018, 212 Warrior si presenta come una delle produzioni più ambiziose realizzate nell’arcipelago negli ultimi anni. Si tratta, innanzi tutto, del ritorno sullo schermo di una delle icone eroiche più amate dell’immaginario indonesiano. Il personaggio di Wiro Sableng è stato infatti creato negli anni Sessanta da Bastian Tito in una serie romanzi che è tra le più prolifiche e longeve della storia editoriale indonesiana, con 185 volumi pubblicati tra il 1967 e il 2006. La figura di questo guerriero armato di ascia ha inevitabilmente già valicato il guado tra la pagina e lo schermo in una serie di film di fine anni Ottanta, ma anche in uno dei più celebrati sinetron (serie televisive) di sempre, trasmesso per quasi un decennio, a partire dal 1994 fino al 2002. La produzione di questa nuova versione delle sue avventure, poi, segna la prima collaborazione tra la major americana 20th Century Fox e una compagnia del Sud-est asiatico, la Lifelike Pictures di Sheila Timothy e Luki Wanandi, nota per produzioni innovative come il folgorante The Forbidden Door di Joko Anwar, scoperto al FEFF 2009. Ulteriore elemento di esaltante anticipazione è la scelta del protagonista: a prestare volto e corpo a Wiro Sableng è Vino G. Bastian, stella del cinema indonesiano che il pubblico del FEFF ricorderà per le sue collaborazioni con la regista Upi, Radit & Jani (2008) e The Last Wolf (2009), che è il figlio di Bastian Tito, creatore del personaggio.
Ambientate nell’isola di Giava pre-coloniale del XVI secolo, le avventure di Wiro Sableng iniziano con la barbara uccisione dei suo genitori da parte di una banda di fuorilegge che ne ha invaso il villaggio. Il piccolo Wiro Sableng, che ha solo quattro anni, viene salvato da una stravagante anziana guerriera, Sinto Gendeng. Sarà lei a crescerlo e ad iniziarlo alle pratiche e segreti del silat, l’arte marziale tradizionale indonesiana. E il suo apprendistato sarà la base per la sua ricerca di giustizia, allorché, dopo 17 anni di pratica, Wiro Sableng si vede affidata l’ascia 212, che lo rende appunto il Guerriero 212 (“212 Warrior”). Inizia il suo viaggio per contrastare Mahesa Birawa, un discepolo di Sinto Gendeng che ha tradito i suoi saggi precetti, utilizzando i suoi insegnamenti per fini malvagi. Era stato lui a perpetrare la strage che ha tolto a Wiro Sableng i genitori. La vicenda del Guerriero 212 si profila quindi come un viaggio iniziatico fatto d’incontri avventurosi. Lungo il suo cammino, in particolare, incontrerà altri guerrieri che si uniranno a lui per combattere contro il malvagio Mahesa Birawa.
Angga Dwimas Sasongko, già incoronato come il più giovane regista a vincere il Citra Award (l’Oscar indonesiano) per il miglior film con Cahaya dari Timur: Beta Maluku (2013), dirige questa vicenda tra il fantastico e il film di arti marziali con un sapiente equilibrio tra lo sviluppo drammaturgico e l’impatto coreografico delle scene d’azione. Utilizzando con perizia le esotiche ambientazioni e l’accurato apparato di costumi, scenografie ed effetti speciali, Angga Dwimas Sasongko crea un mondo mitologico che ha sia del classico che del contemporaneo, ispirandosi ugualmente al fantasy internazionale, quanto agli action indonesiani del passato e del presente. Una doppia traccia che si deve certo anche al prezioso contributo parallelo del direttore dell’azione Chan Man Ching, che ha lavorato con il grande Jackie Chan, e del coreografo delle scene di combattimento Yayan Ruhian, che ha lavorato su Merantau (2009), The Raid (2011) e The Raid 2 (2014). Una combinazione deflagrante che Vino G. Bastian innesca con sentita convinzione e che ci si augura faccia esplodere anche l’entusiasmo della platea del FEFF.
Paolo Bertolin