Negli anni Sessanta del secolo scorso Wakamatsu Koji era l’enfant terrible del cinema giapponese, un vero e proprio fuorilegge, che una volta si era affiliato a una gag della yakuza finendo perfino in prigione. Wakamatsu realizzò film pink (porno soft) pionieristici come The Embryo Hunts in Secret (1966) e Go, Go, Second Time Virgin (1969), che con sesso e violenza estremi, filmati con energia pura e creatività sfrenata, procurarono ai censori e ai funzionari dell’industria veri e propri attacchi isterici.
Coloro che li difendevano (fra cui lo stesso Wakamatsu) affermavano che il regista rispecchiava le tendenze dell’epoca e ne criticava i crimini, come la guerra del Vietnam o i massacri della Famiglia Manson.
Ho incontrato e intervistato Wakamatsu in diverse occasioni prima della sua improvvisa scomparsa, avvenuta a causa di un incidente stradale il 17 ottobre del 2012. Era volitivo e senza peli sulla lingua, ma rimasi colpito dal fatto che si sentiva investito di una missione. Vedeva se stesso come un guerrigliero della verità all’interno di un’industria, di una società e di un mondo impegnati a diffondere bugie di comodo.
Tutto questo e molto altro si riflette in Dare to Stop Us, il nuovo film di Shiraishi Kazuya su Wakamatsu, la sua cerchia e la sua epoca. Shiraishi, ex apprendista di Wakamatsu che ha diretto film piuttosto cupi come The Devil’s Path (2013) e The Blood of Wolves (2018), non ha realizzato un’agiografia, bensì un omaggio incisivo e affettuoso.
La pellicola, che copre il periodo dal 1969 al 1972, quando Wakamatsu era all’apice della creatività e della notorietà, lo dipinge come un uomo brusco, irascibile e dedito all’autocelebrazione. Ma nell’interpretazione ispirata di Iura Arata appare anche appassionato, devoto e dal cuore d’oro. Un uomo con cui non era facile avere a che fare – da prendere o lasciare.
Il vero fulcro della storia, tuttavia, è Yoshizumi Megumi (Kadowaki Mugi), una ventunenne esordiente che arriva alla Wakamatsu Production nel 1969 dietro pressante richiesta di un dipendente di Wakamatsu, un hippie dallo spirito libero noto come Ghost (Tamoto Soran). È qui che la ragazza incontra non solo il temibile Wakamatsu, il quale in un primo tempo quasi non si accorge della sua esistenza, ma anche Adachi Masao (Yamamoto Hiroshi), un regista e sceneggiatore radicale, e Arai Haruhiko (Fujiwara Kisetsu), un caustico critico cinematografico e aiuto regista.
Questi e altri componenti della “famiglia” Wakamatsu (compresa la stessa Megumi) sono personaggi ispirati a persone reali, alcune ancora viventi, ma che nel film vengono inizialmente presentati come caricature attraverso tratti generici e quasi comici. Man mano che gli anni passano e la storia si fa più complessa, questi personaggi diventano meno fumettistici e più articolati, pur continuando a essere parte di un ritratto corale.
Dal canto suo, Megumi si adatta rapidamente all’ambiente carico di testosterone che la circonda, cominciando a fumare, a bere e persino a rubare nei negozi per rimpolpare le scorte della società, ma fa fatica a scrollarsi di dosso le proprie insicurezze. Quando però comincia a fare carriera soddisfacendo i capricci di Wakamatsu e facendo tutto il possibile per mandare avanti la piccola società cinematografica del regista, Megumi acquisisce competenze e fiducia in se stessa.
A un certo punto Ghost, l’unico confidente della ragazza del periodo pre-Wakamatsu, abbandona la società affermando di aver esaurito il proprio “serbatoio di energia”. Megumi è scossa, ma resiste e realizza persino il suo primo film da regista, un porno di trenta minuti per il mercato dei love hotel, ma il suo entusiasmo iniziale è sfumato. C’è qualcosa che eventualmente può farglielo recuperare?
Nel ruolo di Megumi, Kadowaki rende perfettamente l’atmosfera della controcultura dell’epoca, in cui tutto era permesso, incarnando pienamente l’isolamento e le insicurezze del suo personaggio, oltre alla tremenda incertezza che le deriva dal passaggio di Wakamatsu dal cinema sperimentale all’estremismo politico. Il risultato è a tratti divertente e piacevole, a tratti cupo e imperscrutabile.
Più dello stesso Wakamatsu, l’attrice eleva il film oltre il livello di un esercizio di nostalgia per farlo diventare il tragico dramma di una donna che merita più di quanto i tempi – e il suo stesso cuore – possano concederle.
Mark Schilling