Kyung-min (Kong Hyo-jin, Missing) è una ragazza attraente, poco più che ventenne, che lavora allo sportello di una banca e vive da sola in un piccolo monolocale. Dipendente precaria che mira a essere assunta a tempo indeterminato, Kyung-min soffre di stanchezza cronica a causa del superlavoro e le capita, non senza sensi di colpa, di schiacciare qualche pisolino durante l’orario d’ufficio. Timida e premurosa, è molto amica di Hyo-joo (l’attrice di musical KimYe-won), una collega ben più chiassosa di lei, ma subisce costantemente il disprezzo dei superiori e le molestie di Ki-jung, un cliente decisamente inquietante. La ragazza, inoltre, ha la vaga sensazione di essere osservata, ma cerca di non farci caso pensando che si tratti solo di stress. In seguito a un episodio spaventoso che ha a che vedere con il suo diretto superiore e una tazza di caffè, la situazione però si trasforma rapidamente in un caso di omicidio, con un investigatore della polizia (Kim Sung-oh, Unstoppable) che la vede come una possibile indiziata. Temendo per la propria vita, Kyung-min chiede a Hyo-jooper di aiutarla a indagare per conto proprio.
Door Lock, adattamento del thriller spagnolo del 2011 Bed Time di Jaume Balagueró, ha avuto un discreto successo, dovuto soprattutto al pubblico femminile, e ha venduto oltre un milione e mezzo di biglietti (recuperando così il proprio budget di 3 milioni di dollari). La protagonista Kong Hyo-jin, dopo l’acclamata interpretazione di una babysitter cino-coreana con un passato oscuro in Missing, ha dimostrato ancora una volta la propria capacità di sostenere un film dal punto di vista commerciale. Malgrado un fisico snello e un portamento da modella, Kong non fa nessuna fatica a comunicare la propria vulnerabilità e angoscia in modo convincente, ed è in gran parte per merito della sua interpretazione delicata se Kyung-min non appare né come una passiva fanciulla in pericolo né come un’impavida versione impiegatizia di Nancy Drew. È decisamente struggente quando in lacrime si scusa con la sua amica, e credibile nelle sue manifestazioni di stupore, frustrazione e rassegnazione nei confronti degli uomini (superiori, clienti e poliziotti) che continuano ad attribuirle la responsabilità di guai che invece derivano proprio dalla loro aggressività, pregiudizio e indifferenza.
Come Bedevilled (2010), Door Lock è velatamente femminista pur senza allontanarsi troppo dal suo genere. La sua notevole suspense è generata da situazioni che ricordano a molte donne lavoratrici e single sudcoreane i pericoli della vita reale ai quali sono inevitabilmente esposte: le molestie anonime, l’intrusione libidinosa e apparentemente “irrilevante” nel proprio spazio privato da parte di colleghi e clienti maschi, la porta di un monolocale che viene improvvisamente scossa nel cuore della notte. Un altro aspetto ammirevole dell’approccio del regista è il suo controllo: anche se nel finale il film introduce episodi di mutilazione corporale da Grand Guignol, Kwon Lee si rifiuta di soffermarsi volgarmente su questi elementi per concentrarsi invece su Kong e sulle reazioni degli altri attori e sottolinearne le sensazioni di vero e proprio terrore.
Al pari di film come Office (2015) o Bluebeard (2017), anche qui il senso di isolamento e di angoscia metropolitana vengono generati dalla scelta di una gamma cromatica “fredda” e dai toni bluastri, realizzata sapientemente dal direttore della fotografia Park Jung-hoon (The Villainess) e dal direttore delle luci Lee Je-woo (My Ordinary Love Story). L’efficace colonna sonora di Dalparan, che spazia dalle percussioni d’avanguardia a variazioni su temi di Erik Satie, sottolinea ancora una volta la frammentazione dei legami all’interno della comunità e le nevrosi dei tormentati personaggi. La debolezza principale del film è l’alquanto banale struttura da giallo (se avete visto la vostra parte di thriller classici non avrete molta difficoltà a indovinare chi sia il colpevole), anche se il momento culminante della storia, che evoca sia Shining che Il silenzio degli innocenti senza però calcare troppo la mano con gli omaggi, funziona piuttosto bene e si concentra ancora una volta sugli sforzi di Kyung-min per sfuggire alle grinfie del criminale piuttosto che sull’ennesimo malvagio sovrumano come accadrebbe in un comune slasher.
Kyu Hyun Kim