Tratto da una raccolta di saggi di Morishita Noriko,
Every Day a Good Day di Omori Tatsushi mostra in maniera splendida e con cognizione di causa come la cerimonia del tè sia molto più di una reliquia culturale sospesa nel tempo ed esibita solo ad uso e consumo dei visitatori stranieri. Per la protagonista e le sue colleghe seguaci del
sad
ō
(la Via del Tè)
,
si tratta di una illuminante presa di coscienza – la filosofia e la pratica di vivere l’attimo, che è al contempo intramontabile e soggetto alla tendenza del tempo.
I
noltre, invece di compiere meccanicamente i movimenti rituali, si servono di tutti i cinque sensi per vivere appieno la bellezza nel susseguirsi delle stagioni. E il matcha che è il risultato finale delle loro fatiche ha un aspetto delizioso.
Omori, che è noto per i violenti sovvertimenti delle convenzioni sociali e cinematografiche nella sua opera prima
The Whispering of the Gods (2005), potrebbe sembrare un pesce fuor d’acqua in questa storia decisamente non violenta; invece, lui e la sua troupe hanno creato un paradiso alla maniera nipponica, dove le distrazioni del mondo esterno, se non sempre le sue tragedie, sono sublimate in un sistema fatto di bellezza, ordine e, per quanto possa suonare paradossale, libertà.
La protagonista è Noriko (Kuroki Haru), che vediamo per la prima volta come studentessa universitaria ventenne nel 1993. Dietro sollecitazione della madre, Noriko e la cugina Michiko (Tabe Mikako) iniziano a frequentare lezioni di cerimonia del tè nella vicina casa dell’anziana Takeda-sensei (Kiki Kirin). Sotto l’occhio attento e le rigide, seppur incoraggianti, istruzioni di quest’ultima, le due si arrabattano con i primi rudimenti, a cominciare dal modo corretto per piegare un
fukusa (tovagliolo) fino alla maniera giusta di entrare in una stanza. E quando Noriko, che è un tipo razionale, mette in discussione il rituale, la
sensei si mette semplicemente a ridere. “Non devi capire cosa significa”, le dice. “Prima domina la forma”, suggerisce, “e poi potrai metterci il cuore”.
Col trascorrere dei mesi e degli anni, Noriko deve affrontare una crisi dopo l’altra al di fuori della casa da tè: non riesce a trovare un lavoro dopo la laurea e viene lasciata dal fidanzato. Poi, quando finalmente riesce a cavarsela con la teiera, una liceale (Yamashita Mizuki) inizia a partecipare alle lezioni – rivelandosi un prodigio. Noriko, che si sente surclassata ed esclusa, ha un crollo.
Queste vicende, ispirate a un quarto di secolo di vita della stessa Morishita, non vengono approfondite ma solo delineate. Tuttavia, nel corso del suo apprendistato, Noriko comprende lentamente la verità racchiusa nel titolo del film, che proviene dall’antico detto di un
kakejiku (dipinto da parete) della
sensei Takeda: ogni giorno è un buon giorno. Fai attenzione, insegna la cerimonia del tè, e le più piccole cose, come il suono dell’acqua che gocciola dal mestolo per il tè, esprimeranno la meraviglia dell’attimo presente.
Nel ruolo di Takeda-sensei, l’anziana Kiki Kirin, in una delle sue ultime interpretazioni, incarna alla perfezione questo stile di vita. Una vera saggia, sia sullo schermo che fuori.