Il numero di suicidi in Giappone negli ultimi otto anni è sceso uniformemente arrivando a 21.321 nel 2017, ma si tratta di un numero sempre alto se paragonato a quello di altri paesi avanzati, e ovviamente non rappresenta una consolazione per le famiglie di coloro che si tolgono la vita.
L’effetto del suicidio su una di queste famiglie è l’argomento di Lying to Mom, opera prima di Nojiri Katsumi, un quarantatreenne che ha fatto la gavetta da assistente prima di diventare regista. Il film è tratto da una sceneggiatura originale di Nojiri, a sua volta ispirato dal suicidio del fratello.
La storia tuttavia non è un docu-drama che racconta scene di vita vissuta, bensì ricicla elementi tipici del genere dei drammi familiari giapponesi, sia comici che tragici, e nel frattempo affronta la difficoltà, o l’impossibilità, di dare una risposta alla domanda “perché?”
La storia inizia in modo inquietante: Koichi (Kase Ryo) si impicca in camera sua, dove viveva da recluso, in casa dei genitori. Quando sua madre Yuko (Hara Hideko) lo trova, cerca di tagliare la corda che lo tiene appeso e invece si fa male lei e sviene. Portata in ospedale, la donna non ricorda nulla della morte del figlio, con grande sgomento del marito Yukio (Kishibe Ittoku), della figlia Fumi (Kiryu Mai), della caustica sorella di Yukio, Kimiko (Kishimoto Kayoko), e dell’accondiscendente fratello di Yuko, Hiroshi (Omori Nao), che ha appena avviato una nuova attività di importazione di gamberi dall’Argentina.
E poi Fumi salta su dicendo che Koichi è andato in Argentina a lavorare per Hiroshi. Tutti confermano, per la gioia di Yuko, anche se presto si accorgono che sostenere la menzogna dell’espatrio di Koichi non sarà semplice.
Questa prima parte del film è una commedia leggera, con Fumi e gli altri che inventano una nuova vita per Koichi, comprendente lettere false e una camera rimessa a nuovo. Nel frattempo Fumi entra a far parte di un gruppo di sostegno per persone che hanno subito un lutto e, seppur in modo esitante, inizia ad allacciare rapporti con altri partecipanti, fra cui una donna che ha perso la figlia quattordicenne, suicida. Fumi però non ce la fa a raccontare la propria storia.
Dopo un po’ l’elaborata messinscena della famiglia comincia ridicolmente a far acqua da tutte le parti, ma quando la storia raggiunge il culmine emergono altre verità, che riguardano i veri sentimenti di Fumi nei confronti del fratello e ciò che è veramente accaduto il giorno della sua morte. È a questo punto che il film abbandona il suo umorismo popolare per rivelare i veri sentimenti suscitati dalla presenza del ragazzo, o dalla sua assenza.
Nella breve ma perfetta interpretazione di Kase Ryo, vediamo anche l’angoscia di Koichi manifestata in modo silenzioso o esplosivo, sebbene sul mistero del suo suicidio non venga mai fatta completamente luce. L’interpretazione di Kase è eguagliata da quella di Kiryu Mai nei panni di Fumi. Kiryu, attrice esordiente che aveva fatto sensazione nel ruolo di una coraggiosa lottatrice di sumo in The Chrysanthemum and the Guillotine di Zeze Takahisa, è contenuta quando tiene dentro di sé i segreti di Fumi, ma quando alla fine scoppia, mostra una rabbia che proviene da un passato cupo, e non semplicemente da una interpretazione superficiale.
La lezione del film è che anche se le menzogne possono dare conforto, la vera catarsi, e la successiva accettazione, arrivano solo dalla verità.
Sarà anche vero, ma la famiglia Suzuki non sarà più la stessa, anche se Koichi dovesse trovarsi sul prossimo volo proveniente da Buenos Aires.