Master Z: The Ip Man Legacy rappresenta il primo spin-off ufficiale della celebre serie di film di arti marziali Ip Man interpretati da Donnie Yen. Il veterano Yuen Woo-ping, che è stato il coreografo d’azione di Ip Man 3 ed è considerato un importante innovatore del cinema di kung fu, stavolta prende in mano la regia e fa le cose in grande con feroci combattimenti e divertimento facile in una storia ambientata nella Hong Kong degli anni Sessanta.
Sotto i riflettori c’è Cheung Tin-chi (Max Zhang), che in passato era diventato famoso per avere sfidato Ip Man, il grande maestro del wing chun, in un duello a porte chiuse. Dopo essere stato umiliato in quel combattimento, Cheung vuole soltanto una vita tranquilla. I giorni in cui era una testa calda sono passati e ha abbandonato anche le lezioni di arti marziali e i lavoretti da sicario freelance, per dedicarsi semplicemente a gestire un negozietto di generi alimentari e fare il padre devoto.
Il guaio è che le rogne riescono comunque a trovarlo. Quando si imbatte in alcuni teppisti del posto, guidati da Tso Sai-kit (Kevin Cheng), che aggrediscono due donne, la cantante Julia (Liu Yan) e la sua amica tossicomane Nana (Chrissie Chau), Cheung interviene e si ritrova coinvolto in una lotta tra bande. Infatti Tso è in conflitto con la sorella (Michelle Yeoh), che dirige il potente Cheung Lok Group e vuole che entro tre anni la loro organizzazione lasci perdere le attività mafiose e agisca solo nella legalità. Una brutta gatta da pelare per Tso, che non solo vuole continuare con gli attuali affari loschi, come la gestione di una fumeria di oppio, ma intende anche passare al più redditizio traffico di eroina. E ha dei poliziotti corrotti dalla sua parte.
Quando Tso appicca il fuoco al negozio di Cheung per vendicarsi della batosta presa, Cheung picchia di nuovo i membri della gang e, con il figlio al seguito, si trasferisce in una zona più sicura insieme a Julia e Nana. Comincia a lavorare in un bar gestito dal fratello di Julia, un ragazzone tosto di nome Fu (Xing Yu), ma la minaccia dell’eroina comincia a farsi sentire nel quartiere e ancora una volta Cheung deve entrare in azione.
In Master Z non ci vuole molto perché Yuen Woo-ping e suo fratello Yuen Shun-yi, nel ruolo di coreografo d’azione, tirino fuori la prodezza del divo Max Zhang, e i combattimenti si intensificano con avversari sempre più forti e un mix di stili di combattimento. Zhang, ex atleta di wushu che è entrato nel cinema come cascatore, dà prova della sua versatilità con i pugni, i calci e le rapide acrobazie, sfrecciando dalle risse di massa ai divertenti allenamenti sul tetto dove sfoga la sua rabbia. L’asso del cinema d’azione thailandese Tony Jaa esibisce il suo carisma divistico in un paio di schermaglie, cariche di mosse elaborate e di grande pulizia e simmetria, mentre Michelle Yeoh se la cava altrettanto bene quando si cimenta in un vistoso combattimento di spade, e molto altro. A portata di mano c’è anche l’attore statunitense ed ex wrestler Dave Bautista, per l’azione scatenata che contrappone il suo stile di combattimento muscolare alle più agili arti marziali.
In Master Z, però, non tutto è così frizzante. La trama è più che altro un pretesto per infilarci una serie di combattimenti; Max Zhang, sebbene perfettamente capace sul fronte dell’azione, non è particolarmente carismatico; il “cattivo” principale è terribilmente ovvio fin dalla prima inquadratura. Eppure, per chi cerca semplicemente un esempio emozionante di cinema di kung fu, Yuen Woo-ping mantiene le promesse senza difficoltà. È una gioia soprattutto sul grande schermo, con Yuen che mette in scena i combattimenti utilizzando in modo creativo set ampi e fantasiosi. Il cinema di arti marziali non è più il caposaldo del cinema hongkonghese com’era in passato, ma Master Z: The Ip Man Legacy dimostra che le sue tradizioni sono vive e vegete.
Tim Youngs