Le voci femminili nell’ambito del cinema di genere non sono moltissime. In un contesto tradizionalista come quello dell’industria cinematografica della Malaysia, esse sono ancora meno. Nel 2007, il Far East Film Festival ebbe il piacere di ospitare per la prima volta un film di una regista malese con l’efficace horror Chermin (t.l. “Lo specchio”) di Zarina Abdullah. Dodici anni dopo, una delle scoperte del festival arriva grazie alla prima mondiale di Motif, thriller poliziesco diretto dall’esordiente Nadiah Hamzah. Una rivelazione che il festival propone in prima mondiale assoluta, ma che il FEFF può vantare di aver sostenuto già in fase d’incubazione creativa. Nel 2015, infatti, il produttore e co-sceneggiatore Muhammad Bahir aveva partecipato al laboratorio Ties That Bind, che il FEFF organizza con l’organizzazione europea di produttori EAVE (European Audiovisual Entrepreneurs) al fine di incoraggiare la cooperazione produttiva tra Europa e Asia.
Motif è incentrato su un’investigazione poliziesca e la sua prerogativa evidente è proprio il taglio femminile che la regista impone alla vicenda. La protagonista Dewi (Sharifah Amani) è un’agente di polizia che viene inviata dalla capitale Kuala Lumpur in un’area di provincia, Tanah Merah (“Terra rossa”), per investigare la scomparsa della giovane figlia della più ricca famiglia della comunità. Sin dall’inizio, il suo arrivo è accolto con la diffidenza dei colleghi maschi, doppiamente infastiditi dall’intrusione di un elemento esterno alla comunità che è pure donna. Anche perché l’agente che dovrebbe farle da spalla, Rizal (Mustaqim Mohamed) ha un legame di parentela con il padre della scomparsa, Hussein (Rosyam Nor, che alcuni ricorderanno come protagonista di When the Full Moon Rises di Mamat Khalid, visto al FEFF 2008). Quest’ultimo ha chiaramente qualcosa da nascondere e Dewi intuisce subito un suo ruolo nella scomparsa della figlia. Ma ben presto, l’indagine sulla scomparsa prende una piega drammatica e le piste che si dipanano porteranno ad inattese rivelazioni.
La piega al femminile della vicenda scritta a sei mani dalla regista Nadiah Hamzah con Muhammad Bahir e Honey Ahmad, infatti, non si limita alla scelta di una protagonista donna. Mentre indaga a Tanah Merah, Dewi si deve anche confrontare, telefonicamente, con la propria peculiare situazione familiare a Kuala Lumpur. Scopriamo ben presto, infatti, che è la seconda moglie in un matrimonio poligamica e che la relazione con il marito Ilham e il rapporto con la prima moglie Lena sta attraversando un momento di crisi, proprio allorché Dewi sta per diventare madre. Anche questa traccia secondaria nel racconto di Motif conosce uno sviluppo drammatico inatteso, giacché l’indagine in corso rivelerà sconcertanti connessioni e parallelismi con i problemi personali vissuti da Dewi.
Girato con perizia e marcato da un crescendo narrativo coinvolgente, Motif ha il suo punto di forza nella partecipe prestazione attoriale di Sharifah Amani, icona del cinema malese degli ultimi quindici anni, sin dal suo esordio nel memorabile Sepet (2004), film rivelazione della compianta Yasmin Ahmad. Ritrova qui un ruolo ricco di sfumature a cui si dona con generosità e sottigliezza. E nonostante qualche eccesso effettistico, inevitabile contrappasso per il cinema di genere in Malaysia, l’efficace connubio tra la scafata esperienza di Sharifah Amani e la passione esordiente della regista fa ben sperare per le sorti di Motif e per la carriera futura di Nadiah Hamzah.
Paolo Bertolin