They’re coming to get you, Korea! Questa storpiatura di una celebre battuta de La notte dei morti viventi di George Romero potrebbe essere un opportuno, anche se poco ortodosso, modo di introdurre il diffondersi degli zombie movie nella recente cinematografia coreana. Il prototipo romeriano sviluppato in Goeshi (Beom-gu Kang, 1981), uno dei titoli più “anziani”; le creature innamorate in uno scenario apocalittico nel grottesco episodio A Brave New World (Yim Pil-sung) di Doomsday Book (2012); gli operai zombie sfruttati nel segmento I Saw You (Han Ji-Seung) dell’omnibus Mad Sad Bad (2014) sono alcuni esempi di come il genere si sia espanso fino a concepire il titolo più compiuto, il cult Train to Busan (Yeon Sang-ho, 2016). Ed è proprio allo stesso team produttivo che dobbiamo Rampant.
Corea, epoca Joseon. Il principe Ganglim (Hyun Bin, Confidential Assignment) torna in patria per trarre in salvo la cognata dopo la morte del fratello, reo di aver ordito una congiura contro il padre. Il re è infatti manipolato dalla corte e in particolare dal machiavellico Kim Ja-joon (Jang Dong-gun, The Coast Guard). Nel paese scoppiano focolai di rivolta ma il malcontento non è l’unica miccia accesa: da una nave di contrabbandieri olandesi comincia a diffondersi un morbo che trasforma le persone in demoni assetati di sangue. Le frange ribelli devono combattere l’esercito corrotto e, al contempo, lottare contro i mostri per la propria sopravvivenza. Il principe inizialmente pensa solo a rispettare le volontà del fratello ma si ravvedrà quando comprenderà la terribile minaccia che questo morbo costituisce per il suo popolo. Intanto a corte Kim Ja-joon non solo è a conoscenza dell’epidemia ma la sta usando per ordire un piano contro la corona.
L’inserimento degli zombie in ambientazioni storiche non è una novità: hanno invaso le pagine di Jane Austen; sono stati arruolati nelle SS; sono stati uccisi dalla regina Vittoria. E, naturalmente, hanno spadroneggiato nella serie Netflix Kingdom, che con Rampant condivide l’ambientazione. Kim Sung-hoon (Confidential Assignment) lo sa e conosce bene le regole del gioco. Inserisce coerentemente i soggetti-tipo nel contesto storico e la tassonomia dei personaggi è infatti quella dello zombie movie: l’eroe che di fronte al pericolo si ravvede (il principe), la spalla comica (il servitore Hak-soo), il guerriero indefesso che infonde coraggio (il capo ribelle Park), il villain che si dimostra più pericoloso dei demoni. Anche le creature sono declinate secondo la fenomenologia moderna dello zombie: esseri famelici, ipercinetici, mossi da pura istintualità e il cui morso diffonde il morbo. D’altro canto, l’ambientazione consente degli espedienti che contribuiscono a dare un alto tasso di spettacolarità. La contaminazione con il genere wuxia regala combattimenti che vedono i protagonisti librarsi sulle orde di zombie e sterminarli a colpi di spada cosicché la componente action torni a livello più fisico.
Lo zombie è spesso un espediente per parlare della società e della natura dell’essere umano in una situazione di azzeramento delle convenzioni della collettività. Questo vale ancora di più qui, dove l’ambientazione ci dà delle regole sociali storicamente concluse. Ispirandosi lontanamente al rapimento di principi della corte Joseon da parte della dinastia Qing, Kim Sung-hoon mette in scena una Corea debole verso le pressioni estere, un paese la cui regalità è minacciata da un pericolo che ha origine straniera ma che la nazione non riesce a contenere. Seppur in un prodotto di grande intrattenimento, non è difficile intravedere un paese che oggi è costantemente sotto minaccia esterna e che ha un ruolo strategico nello scacchiere internazionale. Ma forse nell’oppressiva società coreana, una forza irrazionale, di massa e altamente contagiosa che si muove all’interno del paese potrebbe costituire una minaccia ancora più preoccupante. Che sia questa la chiave del successo di questa ondata zombie?
Luca Censabella