Quando Wisit Sasanatieng si è dedicato al cinema d’autore, il mondo del realismo era identificato attraverso il sarcasmo e la fantasia (cfr. la recensione di Ten Years Thailand). Ma quando crea un immaginario universo di spiriti, il genere spesso interagisce con il verismo. Quello che accade nel settimo lungometraggio del regista, Reside, è un paradosso di arte e genere, umano e non umano, realismo e irrealismo. Sasanatieng spinge il paradiso dello spavento in un nuovo ed estremo rituale dell’orrore, creando le “arti dell’essere fantasma”. I fantasmi e le possessioni diventano happening di arti performative.
In una villa remota e isolata, conosciuta come Infinity Spiritual Center, la proprietaria e i suoi discepoli (due uomini e tre donne), che la chiamano “la Madre”, si riuniscono e intonano un canto per risvegliare un cadavere misterioso. Durante il rituale, ad accettare l’invito è invece una famiglia di fantasmi errabondi, composta da una coppia con la figlia. Inizia l’esorcismo e anche la Madre, che è la più forte ed esperta, viene sopraffatta (in effetti viene posseduta fin dall’inizio del film e viene rinchiusa nella sua stanza). Nessuno sa chi sarà la prossima vittima. Improvvisamente si presenta il figlio della padrona di casa, Dech, che sembra essere l’unico in grado di gestire queste situazioni. A questo gioco del gatto e topo si intrecciano i segreti della virtù e della malvagità che stanno dietro a tutti i personaggi. Forse, come dice Prang, l’ex ragazza di Dech, in una delle scene, “Ancora più spaventoso del fantasma è l’essere umano”.
Quel che è emozionante nel settimo lavoro di Sasanatieng non riguarda il flusso di ambivalenza nel film stesso, ma la creazione di un nuovo stile di horror. Nonostante alcune influenze di altri registi o creatori spirituali thailandesi rilevabili nelle sue opere precedenti, questa volta Sasanatieng va per la sua strada utilizzando la sagoma di un albero come modello per gli spiriti. È innegabile che nella credenza thailandese un fantasma femminile risiede anche in un albero, e normalmente appare splendido nel vecchio costume reale; è in realtà la protettrice degli alberi e dell’ambiente. In Reside i fantasmi dell’albero sono addirittura una famiglia e, ogni volta che si manifestano, i loro movimenti del corpo rappresentano la loro origine. Sparito il raccapricciante strisciare dei fantasmi giapponesi o coreani, rimangono gli artistici colpi di scena e la danza del limbo. I famosi divi thailandesi che appaiono nel film muovono i loro corpi come artisti della performance ogni volta che sono posseduti, ma assumono espressioni impenetrabili per nascondere i loro segreti.
La cosa meravigliosa è che il progetto del regista non si limita al movimento del corpo e alla recitazione, ma riguarda anche il linguaggio. I fantasmi chiocciano in una lingua strana, che sembra cambogiano o thailandese antico. Superiore a tutti i livelli, il regista Sasanatieng supporta questa nuova “arte di essere fantasma” attraverso un suono e una messa in scena superbi e delicati. Invece di predisporre un ambiente disgustoso, la scenografia è studiata per glorificare la bellezza dello spettro e la bruttezza dell’umano. Allo stesso modo, il suono è usato per simbolizzare l’apparizione del fantasma, mettendo a fuoco la stranezza di questi esseri soprannaturali. Alla fine, quello che Reside vuole lasciarci sono le arti dei fantasmi corporei e verbali, che superano qualsiasi horror precedente. Essere uno spettro non è un compito facile quando gli effetti speciali diventano inutili.
Anchalee Chaiworaporn