Ten Years, film distopico a episodi del 2015 di cinque giovani registi di Hong Kong, divenne un successo del cinema indipendente. L’immagine della situazione disperata di Hong Kong a dieci anni nel futuro fece infuriare le autorità cinesi – e ispirò le versioni taiwanese, thailandese e giapponese di Ten Years.
Sotto la supervisione di Kore-eda Hirokazu, regista vincitore della Palma d’Oro a Cannes con Un affare di famiglia, anche Ten Years Japan è stato girato da cinque giovani registi e presenta altrettante versioni del Giappone nel prossimo futuro. Analogamente al loro modello, queste versioni rappresentano più una possibilità agghiacciante che una fantasia elettrizzante, e sono anche tutte acute al punto giusto, anche se diverse nello stile. Cosa inconsueta per un film a episodi, il livello qualitativo è uniformemente alto.
Il primo episodio è Plan 75 di Hayakawa Chie, che inizia con un giovane burocrate (Kawaguchi Satoru) che spiega pazientemente un programma governativo di eutanasia ai suoi destinatari: anziani settantacinquenni indigenti e disabili giudicati sacrificabili. A un certo punto la sua consorte incinta (Yamada Kinuo) propone per il “Programma 75” la propria madre, colpita da demenza senile.
Malgrado l’ovvietà dell’ironia, l’episodio suggerisce un possibile “metodo giapponese” per uccidere gli anziani, con gesti gentili, frasi rassicuranti e una velata esortazione ad adeguarsi. I vecchietti marciano obbedienti verso la loro fine.
In Mischievous Alliance di Kinoshita Yusuke un programma pilota inculca nei ragazzini valori morali approvati collegando il loro cervello a un sistema di intelligenza artificiale che monitora ogni loro parola o azione. Ma un ragazzino ribelle, con l’aiuto di due compagni di classe, fa uscire un cavallo malato dalla stalla e quando questo si inoltra in un bosco lì vicino i ragazzini lo inseguono, incitati da un anziano bidello (Kunimura Jun).
Raccontato con tocchi umoristici, questo episodio suggerisce la speranza che i bambini continueranno a rimanere tali, anche con la presenza di un “consigliere morale” impiantato nel cervello. Ma, come ci viene ricordato, i sistemi difettosi possono sempre essere migliorati.
In Data di Tsuno Megumi un’adolescente (Sugisaki Hana) che vive con il benevolo padre vedovo (Tanaka Tetsushi) accede a un programma di “eredità digitale” – e scopre un episodio inquietante nel passato della propria madre scomparsa. Questo episodio, che è più un dramma familiare sensibile e acuto che una storia fantascientifica dal triste finale, riafferma tuttavia una verità che, fra un decennio, potrebbe solo essere ancor più vera: nel nostro nuovo mondo digitale, il nostro passato è tanto onnipresente quanto incancellabile.
In The Air We Can’t See di Fujimura Akiyo, l’umanità si è ritirata nel sottosuolo a causa di un disastro nucleare. Una ragazzina, Mizuki, subisce il fascino della sua amica Kaede, che parla in modo seducente del “mondo di sopra” dove il sole splende e il cielo è blu: due cose meravigliose che Mizuki non ha mai visto. Malgrado gli avvertimenti della madre preoccupata (Ikewaki Chizuru), la ragazzina inizia l’esplorazione. Interamente raccontata dal punto di vista di Mizuki, questa storia esprime le paure, i desideri e la meraviglia dell’infanzia con lirismo e intensità.
L’ultimo episodio è For Our Beautiful Country di Ishikawa Kei, dove un giovane agente pubblicitario (Taiga) viene inviato a comunicare a una famosa artista (Kino Hana) che il suo progetto per un nuova locandina di reclutamento del ministero della difesa è stato scartato. Ambientata in un Giappone che ancora una volta arruola i suoi giovani per farli combattere in guerre in terra straniera, questa storia è la più apertamente politica ed è caratterizzata da una comicità cupa. Kino è affascinante nel ruolo di una donna anticonformista a cui piacciono le sparatorie in realtà virtuale – e commuove nel ruolo della figlia di un veterano di guerra morto.
Ma fra dieci anni, quanti di noi sapranno ancora di quella guerra, soprattutto se il Programma 75 cancellerà la memoria collettiva in nome di un bene comune?
Mark Schilling