Three Husbands

Profondamente satirico e fortemente inquietante, a tratti pervaso da un cupo umorismo, Three Husbands rappresenta il capitolo finale della “trilogia della prostituzione” di Fruit Chan, in quanto completa una serie di film che hanno esplorato la relazione tra Hong Kong e Cina in termini decisamente insoliti. Dopo aver lanciato la serie con il piccolo lavoro indipendente Durian, Durian nel 2000, Chan è tornato alla commedia nera l’anno seguente con il sequel Hollywood Hong Kong, e le vicende più bizzarre di quel film vengono addirittura superate in quest’ultimo, provocatorio episodio.

Al centro c’è la libidinosissima Mui (Chloe Maayan), che gli spettatori incontrano per la prima volta in una specie di postribolo su un sampan nella Gin Drinkers Bay, dove viene sfruttata dall’attempato marito Second Brother (Chan Man-lei). Per Mui – che se ne sta perlopiù in silenzio, ha l’aria di una ritardata mentale e si prende cura di un bambino – gli affari vanno a gonfie vele, con gli operai di un cantiere che fanno la fila per lei sulla riva. Tra loro c’è Four-Eyes (Peter Chan), che le chiede di sposarlo.
La vita coniugale si rivela difficile, perché la vita sulla terraferma diventa un disastro e Four-Eyes è sfinito dopo tutto quel sesso. Mui viene riportata sulla barca e i suoi genitali sono dichiarati “patrimonio culturale”. A bordo sale anche il padre, nonché primo marito, Big Brother (Mak Keung), e così lei si ritrova ben presto sotto la tutela di tre uomini. Ma gli affari non vanno bene come prima, e per Mui la vita si fa sempre più dura.

Caratterizzato com’è da scene di sesso contorte e accenni incestuosi e con un personaggio femminile centrale che viene trattato sempre peggio, Three Husbands potrebbe facilmente sconvolgere qualche spettatore. Ma il film è anche intessuto di un umorismo sfacciato e delle eccentriche infiorettature caratteristiche dell’opera di Chan, nonché delle riflessioni indirette su Hong Kong che si adattano perfettamente all’attuale atmosfera sociale della città. Sebbene alcune osservazioni siano espresse a parole (“Non possiamo permetterci una casa ma possiamo permetterci le tette”, dice uno dei clienti di Mui), gran parte della trama del film e il suo significato vanno decodificati dagli spettatori. Su questo fronte, quando Three Husbands arriva alla sua conclusione incolore c’è molto materiale su cui rimuginare, dal significato del silenzio di Mui, alla figura dei tre mariti, ovviamente. E che dire della curiosità di Four-Eyes per Lu Ting, una mitica creatura marina, peculiare di quella regione?

Una delle forze in gioco, che si percepisce molto chiaramente, è la spinta ufficiale per promuovere l’integrazione tra Hong Kong e la Cina continentale, che a sua volta è collegata alle preoccupazioni sull’erosione dell’autonomia e dell’identità. I personaggi parlano del progetto della Greater Bay Area tra Guangdong-Hong Kong-Macao, e anche del ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao, un’infrastruttura di 55 km. che i detrattori considerano più un legame simbolico che una via di collegamento vitale. La decisione di una giovane hongkonghese di vendere il proprio corpo da qualche parte nella Bay Area ironizza sui suggerimenti del governo per cogliere le opportunità offerte dalla Cina continentale.

Three Husbands è l’espressione del lato più indipendente della produzione di Fruit Chan ed è caratterizzato da un’estetica minimalista con accenni di guerrilla filmmaking, ma tutta una serie di premi e candidature hanno suscitato l’attenzione del circuito mainstream in un crescendo che ha portato a una distribuzione completa in sala. Nel cast primeggia Chloe Maayan, in un’interpretazione straordinaria e disinibita nei panni di Mui. L’attrice della Cina continentale, che a quanto si dice è ingrassata di diciotto chili per questo ruolo così fisico, affronta una scena ardita dietro l’altra. È una performance coraggiosa, adeguata per un film che è audace in tutto e per tutto, dalla necessità di difficili riprese acquatiche fino al fatto di mettere costantemente a dura prova il pubblico. Come programma Three Husbands sarà anche rivestito di un’allegoria sporca e inquietante, ma l’inclinazione di Fruit Chan per un cinema audace e stimolante rimane ben chiara.
 
Tim Youngs
FEFF: 2019
Regia: Fruit CHAN
Anno: 2018
Durata: 101'
Stato: Hong Kong

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